Maggioranza stretta o larga? Il dilemma, non nuovo, domina e inquieta sempre più, con l’avvicinarsi dell’appuntamento. Le due possibilità sono previste e regolate nella Costituzione che, per i primi tre scrutini, prescrive i 2/3 e, per quelli successivi, solo la maggioranza assoluta degli aventi diritto. La differenza non ha alcun rilievo sui poteri e sui compiti del Presidente eletto, che restano identici.
L’esperienza ci dice che il tipo di maggioranza con cui è eletto un presidente non determina l’orientamento dei suoi atti. Gronchi e Cossiga, ad esempio, furono eletti anche dalle sinistre, ma ciò non impedì loro di assumere comportamenti e decisioni contrastati con durezza proprio da quella parte. Al contrario, Einaudi fu eletto solo con i voti di coloro che avevano vinto il 18 aprile del 1948, ma la sua presidenza non fu segnata da scontri particolari con i partiti che non lo avevano votato.
Le maggioranze strette coincidono, più o meno, con la maggioranza che governa al momento; le maggioranze larghe scaturiscono da una convergenza bipartisan con l’opposizione. Dal 1948 al 2013 le votazioni sono state 11. Quattro volte il Presidente è stato eletto da una maggioranza ristretta: tre volte senza le sinistre (Einaudi 1948, Segni 1962, Leone 1971); una volta senza la destra (Napolitano 2006). Le altre sette volte (Gronchi 1955, Saragat 1964, Pertini 1978, Cossiga 1985, Scalfaro 1992, Ciampi 1999, Napolitano 2013) il Presidente è stato eletto da maggioranze larghe, con convergenze bipartisan.
Come si vede, le maggioranze larghe sono più frequenti. Evidentemente, fin quando non si presentano insuperabili contrarietà, si preferisce evitare che l’elezione del Capo dello Stato sia segnata da ipoteche politiche troppo nette e unilaterali. Non perché possa esserne condizionata la condotta del Presidente, quanto per evitare ripercussioni negative nelle relazioni fra gli stessi partiti e raggruppamenti politici.
Sia nei casi di maggioranze strette che in quelli di maggioranze larghe, nelle elezioni presidenziali si manifesta una logica bipolare. Negli ultimi venti anni, periodo che si è soliti definire “seconda Repubblica” non sorprende; ma può apparire strano rintracciarla nei decenni precedenti, detti della “prima Repubblica.
Eppure, una constatazione salta agli occhi: nel primo mezzo secolo di vita repubblicana, fin quando sono esistiti i partiti tradizionali, comunisti e socialisti – anzi, precisamente Pci e Psi – sono arrivati al traguardo finale delle elezioni presidenziali sempre insieme; soccombendo quando vinsero Einaudi, Segni e Leone, o contribuendo uniti in modo decisivo alla elezione dei presidenti che ottennero maggioranze larghe, cioè in tutte le altre cinque occasioni; fino al 1992, con il Pds al posto del Pci.
I due partiti della sinistra storica hanno avuto posizioni e collocazioni politiche assai diverse, relazioni spesso molto difficili e tese. Ma, nelle elezioni presidenziali non si sono mai contrapposti o divisi. Non può essere un caso; è un dato significativo che va studiato con maggiore attenzione di quanto sia avvenuto fin qui.