Durante la spennellatura, Mario restava zitto mentre Ciro, con gesti esatti e ripetuti, affrontava il volto con lunghe pennellate. Alla fine faceva roteare lo strumento e recuperava la schiuma in eccesso.
Guardarlo lavorare creava intime certezze. Percorreva quel volto con arcaica sapienza, assumendo le sembianze di un rabdomante d’anime, capace di carpirle con la forza del solo pennello.
Finita la lunga preparazione, prendeva il rasoio, lo passava sulla striscia di cuoio attaccata al muro e lo “massaggiava”, lentamente, diverse volte. Appena controllata l’affilatura in controluce iniziava a radere.
La postura del corpo cambiava. Ciro si curvava, spingendo una gamba avanti. Con la mano sinistra scostava la basetta mentre la destra dava il primo colpo di lama sulla guancia di Mario.
Poi raccoglieva la schiuma del rasoio su un pezzo di carta igienica che, da qualche tempo, aveva preso il posto delle schedine del totocalcio. Intorno al mento e al naso stava più attento, diventando lento e preciso come un incisore. La sua mano era ferma mentre radeva quel volto conosciuto.
Finita la rasatura, Ciro passava sul viso un piccolo asciugamano umido, e profumato di rose, per togliere i segni di schiuma rimasti. Poi con la pesante bolla di vetro che conteneva un liquido ambrato iniziava a spruzzare nuvole di nebbia profumata.
Per Mario abbandonarsi alla rasatura del mattino era una rinascita. La soddisfazione l’accompagnava tutto il giorno. Gli bastava risentire il profumo che veniva dal suo volto per ricordare quei momenti, e ogni volta era come tornare bambino.