Sulla Rai forse ho sbagliato. Alla domanda su cosa pensassi della riforma proposta dal governo, ho risposto che non mi sembra una riforma; al massimo è un aggiustamento. Chi sia interessato alle motivazioni che ho addotto può trovarle in una intervista a “Radio radicale”.
La riforma, come si sa, non ha ancora completato l’iter. Il mandato del precedente Consiglio di Amministrazione, però, è scaduto e l’azionista (il ministero dell’Economia) ha proceduto al rinnovo con la legge che c’è: la “Gasparri”.
Non ha fatto gran differenza: ancora nove consiglieri invece dei futuri sette, un direttore generale al posto dell’istituendo amministratore delegato. Ho pensato anche io, come molti altri, che si è ripetuto il rito di sempre, semmai in versione sbiadita.
Il pensiero iniziale e spontaneo, col passare dei giorni mi ha convinto però sempre meno. Col rimuginare, ho collegato questo rinnovo del vertice Rai al precedente gestito da Monti. Lo scossone tre anni fa fu forte, perfino con qualche strappo formale rispetto alla legge che era sempre la “Gasparri”. Di fatto, l’onnipotente Cda fu molto ridimensionato; sia nelle attribuzioni, delegate in buona parte al Dg e un po’ anche al Presidente, sia nelle persone che ne facevano parte che non somigliavano più ai “plenipotenziari” incaricati di tutelare gli interessi di chi li nominava.
L’ultima tornata mi è sembrata il secondo tempo della stessa partita. Il Cda ha preso un colpo ulteriore, per le funzioni che esercita, per il livello dei componenti e per altri motivi, compreso il prestigio e il trattamento economico. La concentrazione della attenzione e dei poteri sul Dg (prossimo Ad) e sul Presidente è confermata e accresciuta. Inoltre, i partiti di oggi non hanno nulla a che fare con quelli della prima repubblica, che comandavano e rivendicavano con convinzione il diritto di comandare.
Ho fatto, dunque, due più due. Il Cda è stato per decenni il luogo nel quale la lottizzazione è stata celebrata e messa in atto; se il Cda avvizzisce, addirittura evapora, il rito della lottizzazione si estingue perché non ha più il suo tempio. Si dissolverebbe, cosi – non so se per consapevole determinazione o per cinico pragmatismo – il problema che non sono riusciti a risolvere numerosi e poderosi tentativi di riforma.
Con Maggioni–Campo Dall’Orto si fa evidente la transizione (a veder bene iniziata da tempo) dal sistema oligarchico del vecchio Cda a una diarchia; i due terzi di voti necessari in Vigilanza per la nomina del Presidente regola un inevitabile equilibrio bipartisan.
E’ solo una ipotesi, se volete un paradosso, forse frutto di un mio soggettivo travisamento. Non mi sembra, però, del tutto infondata; per cui ho deciso di esporla pubblicamente, con la più ampia riserva sulla base di una rigorosa verifica nei fatti che seguiranno. Consapevole, poi, che un conto è liquidare un vecchio tran tran ormai logorato, altro è pensare, definire e realizzare un nuovo fondamento e una nuova missione per il servizio pubblico radiotelevisivo e per l’azienda Rai.