Stloch, stloch, stloch. Era questo il rumore che sentivo. Come un’anguria che sbatte contro un muro. Prima uno schianto sordo e dopo un rumore acquoso. Tutto ripetuto troppe volte. Poi più niente.
Non era un’anguria ma la mia testa che sbatteva violentemente contro il montante dello sportello. Una Volvo 740 contro la mia 126; Golia contro un Davide inerme, senza sassi né fionda. Avevo la precedenza, la 740 lo stop. Impatto a 120 km/h.
Le due del pomeriggio e cercavo un indirizzo per lavoro in una bella giornata assolata d’inverno. Anche il putrido mare di Ostia acquistava fascino. Uno stridore di freni. La 740 che punta contro il mio sportello. Se mi prende così mi fa uscire dall’altra parte. Mossa disperata: accelero. Quasi ci riesco. Mi spizza il retrotreno e volo sullo spartitraffico. Il mondo gira vorticoso e va tutto sottosopra. Ribaltamenti, testacoda, ribaltamenti. La scatoletta che mi contiene è una trottola impazzita e io sto morendo.
Mi sveglio al buio. Sento una bella musica d’archi e voci melodiose che cantano. Il pentagramma mi avvolge come fosse morbida, frusciante seta. Le note diventano farfalle variopinte che mi sollevano in un cielo dai riflessi cangianti. Ballo con loro. Altre entità sconosciute si uniscono a noi e dipingiamo, danzando, affreschi sulle nuvole. Poi ancora oscurità.
Sono morto! Non ho dolori, rimpianti, lacrime. Morto e basta. Mi abituo al buio. Sono vestito di un lungo caffettano bianco ricamato e sto dentro una grotta. Vedo una luce in fondo. Allora è vera la storia del tunnel e della luce. E adesso vedrò Dio. Allora esiste!
La luce non c’è più. Ho freddo. Qualcosa di luminoso avanza alle mie spalle, la sua veste emana luce e calore. L’ho riconosciuta. “Alba! Siamo usciti insieme due volte e mi stavo innamorando di te. Ero disperato quando ho saputo che eri morta d’eroina. Ci conoscevamo da poco ma la sensibilità, la dolcezza, la profondità dei tuoi pensieri. E la tua musica. Era stupendo ciò che componevi. Quello che ho ascoltato adesso è tuo? Che meraviglia! Sai, avevo capito quanto soffrissi e speravo che insieme . . . ”
Lei non parlava. Forse non poteva farlo, chissà. Mi abbracciò forte, ci baciammo per la prima volta e, com’era apparsa, andò via. Dopo Alba vennero in tanti. Morti d’illusioni, incidenti o natura. Vecchi, giovani, amici, parenti. Parevano tutti sereni e gioviali.
Alba non aveva avuto torto a voler andarsene da un mondo schifoso che rifiutava lei e la sua musica. E che rifiutava anche me! Volevo piangere e l’avrei fatto se il pensiero dell’Eternità che mi pareva aver raggiunto non mi scosse. Si! Ma chi se ne frega degli umani. Mostri indegni del Paradiso in cui vivevamo. L’abbiamo distrutto per far posto a un deserto popolato da smanie di potere e avidità. Ora io sono altro: luce, tanta luce.
Voci, urla. Un calcio su una gamba. Altre urla. “Nun te sei fatto gnente; arzate ‘nfame. Sei te che me sei venuto addosso!” “Aooo’ ma ‘n vedi che l’hai ammazzato? Sei ‘mbriaco, corevi come ‘n matto e lo stop l’hai zottato. Ho chiamato Madama e mo’ so’ c…i tua.” “Nun è morto. Du’ carci ‘n culo e lo rimetto ‘n piedi.”
La sirena mise fine allo squallido siparietto. Riacquistai piena coscienza in ospedale. Un trauma cranico, innumerevoli ematomi e la faccia talmente gonfia che per un mese fui costretto a mangiare solo pappe e semolino. Non potevo masticare. La testa ci mise mesi a non girare più ogni volta che mi voltavo o chinavo. Ripresi, terrorizzato, a guidare. Poi si sa: tutto passa. Visioni,
L’altro mondo che ho visto? Solo deliri, vaneggiamenti, incubi e sogni dovuti al dolore, alla paura di morire. O no?
Aldilà Incidente stradale Visioni