«Vedrai che poi la maestra ci dà un problema con le equivalenze e tutto!»
Avete mai provato a mettere ventitré bambini ai fornelli?
Io con i miei ho cominciato in seconda elementare. Ora che fanno la quinta, sono piccoli chef: tortelli d’erbetta, ciambelle, biscotti, persino bonbons au chocolat.
In piazza c’è il Mercato della terra e noi andiamo a fare gli gnocchi di San Martino. Si chiamano così perché venivano preparati per i braccianti che facevano San Martino, quando alla fine della stagione agricola (San Martino cade l’11 novembre), traslocavano da un podere all’altro.
«E ricordatevi che si dice gli gnocchi, non i gnocchi.»
Ci hanno preparato un lungo tavolo al centro della piazza. I bambini indossano cappelli da chef e grembiuli bianchi sopra le giacche a vento. Qualche curioso già ci osserva divertito.
Le patate, cotte da una nostra amica ristoratrice, arrivano in un pentolone stregonesco.
Calde come sono, ci aiutano a sopportare il freddo della mattina nebbiosa.
«Capito cosa vuol dire avere tra le mani una patata bollente?»
Pelate le patate, le schiacciamo con l’apposito attrezzo e le disponiamo sul tagliere: per ogni chilo, occorrono circa 300/350 grammi di farina. La quantità non è precisa, dipende dalla consistenza delle patate. Mettiamo il sale e un uovo per legare. A gruppi cominciano a impastare, fanno lunghi filoncini e li tagliano a tocchetti. Cospargono di farina alcune forchette e cominciano, premendo col dito sui rebbi, a dar forma agli gnocchi.
«A gnoccare, diciamo noi. Bello questo verbo, vero?»
Intanto, altri preparano le vaschette, le infarinano e dispongono gli gnocchi in bell’ordine uno vicino all’altro. Settantuno confezioni da 100/150 grammi. Un euro ciascuna. Partono i primi venditori. Fa tanto freddo e c’è poca gente, ma alla fine le vendono tutte.
«È stata una cosa gnocca, facile facile!»
I settantun’euro li spenderemo ad Aprile, cenando a Trastevere durante la nostra gita a Roma.