Riflessioni su Christa W.

 

Sono morti altri, in questi giorni. Uomini-simbolo: Ken Russell, Saverio Tutino, Lucio Magri. Probabilmente i “coccodrilli” italiani diranno di te la banalità più volte divulgata, e confutata, cioè che sei stata una spia della Stasi. Chiunque abbia approfondito sa che ti dissero di riferire qualcosa su un collega scrittore, negli anni Cinquanta, in un momento in cui era ancora forte la tua adesione alla DDR, e tu dicesti poco, glissasti abilmente, ti mantenesti ambigua. Sei sempre stata sul filo: critica ma non al punto di decidere di andartene, come la maggior parte delle tue amiche e dei tuoi amici.
Ti ho amata molto. Sei stata una delle prime scrittrici donne che ho letto, dopo la formazione quasi solo maschile del Liceo. A vent’anni ho pianto leggendo Riflessioni su Christa T., che è la storia di un’utopia perduta e di una grande amicizia fra donne. Poi sarebbero venuti altri libri, bellissimi. Fra questi, in particolare, ricordo In nessun luogo, da nessuna parte e Cassandra.
I tuoi libri non erano fiction, storie epiche ed immense di meravigliose sorti e progressive, erano sofferte forme di dedizione all’impegno etico della scrittura in quelli che Brecht chiamava “tempi di povertà”. Questi tempi non sono finiti con il crollo del muro. Sono anche i nostri adesso. Tu muori, donna-simbolo, e restano per me le tue parole, scie luminose in un pomeriggio di inizio dicembre:
‎”Disse ancora: allora non è stato un ripiegamento, quello che metti in atto qui, in silenzio e in solitudine, in bellezza perfino? Io dissi: devi essere impazzita. Ti pare che sia così? Non più, disse, mentre con cautela scendevamo le scale in penombra. È stato un bene che sia stata qui.
Di sotto si accese la luce, ci chiamarono.”(Christa Wolf)

 

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