Tengo sempre la luce del comodino accesa, adesso. Io che ero la reginetta del buio, non riuscivo a dormire nemmeno col più piccolo chiarore. Mi prendevi in giro per questo, e ridevamo.
Ma la tua luce no, leggevi sempre più a lungo di me, mi ero abituata ad addormentarmi con quel piccolo chiarore.
Mi baciavi la mano prima di dormire, mi dicevi a domani, bellissima. Mi dicevi bellissima anche quando non lo ero più da un pezzo, ma quella abitudine serale faceva parte del mio viatico per il sonno, e tu lo sapevi bene.
Sapevi sempre tutto di me, perché io ti avevo lasciato entrare in tutte le mie stanze, e tu avevi trovato e curato ogni mio buio. Adesso ritrovo la tua luce accesa alla mattina, allungo sempre la mano anche se so che non ci sei più.
Me la prendo comoda, i ragazzi mi sgridano, Mamma non devi acciambellarti/poltrire/crogiolarti, reagisci, fai qualcosa.
Qualcosa. Bevo due caffè, il mio e il tuo, dormo con il tuo pigiama, ho ancora il tuo spazzolino. Mangio le cose che mangiavi tu, non le digerisco come te, guardo i film western. Ho ricominciato a fumare, il mio buon dottore mi dice che mi accorcerà la vita, il che non mi sembra una gran tragedia.
Perché non sono sola, sono rimasta a metà. Come il visconte dimezzato. Come una mezza brioche, un libro non finito, un discorso interrotto.
Come se fossi arrivata tardi e ti avessi visto partire senza poterti parlare, senza poterti dire addio. Senza pietà.