Questa volta protagonista della storia raccontata da Ilaria Tuti (scrittrice friulana 1976) non è il commissario Teresa Battaglia – che torna in una serie Rai con Elena Sofia Ricci – ma un luminare di medicina, Johann Adami, internato a Dachau, non perché ebreo, ma perché fiero e testardo oppositore del nazi-fascismo. Conosciuto in tutta Europa per i suoi studi, Johann, languisce in una cella, torturato, costretto alle più infami umiliazioni, magro e ossuto, come tutti gli altri inquilini in quell’inferno terreno. Siamo nel dicembre del ’44 e Hitler ha appena subito un attentato: vive recluso come un topo isterico in un bunker nel Castello di Kransberg in Assia. Vede nemici e complotti ovunque e il presunto suicidio di un giovane delle SS, caduto dall’alto di un torrione del castello, scatena ulteriormente la sua paranoia, Conoscendo la fama del luminare, il Fuhrer lo fa cercare nel suo lurido buco e lo fa trasportare, più morto che vivo, nel Castello: sarà libero – si fa per dire – di indagare sulla morte del giovane. Johann, ormai sfinito dalla prigionia e dagli stenti, dagli orrori di cui è stato spettatore, ritrova un po’ della sua vecchia capacità di capire, attraverso lo studio del cadavere, le dinamiche della sua fine. Johann è un uomo caparbio che a causa della sua fermezza e dignità morale, ha nuociuto non solo a se stesso ma anche alla sua famiglia: l’amata moglie morta mentre lo arrestavano, il figlio più giovane, troppo fragile per sopportare la crudeltà del mondo, che si è tolto la vita anche lui. Resta solo Ada, la figlia maggiore, rimasta a Trieste, dove fa il medico, risentita nei confronti del padre, per aver buttato via la sua vita e anche quella dei suoi cari. Nei boschi e tra le casette, apparentemente accoglienti della residenza di Hitler, Johann si aggira, a volte spaurito a volte convinto di essere a un passo dalla risoluzione del caso che gli è stato affidato. Tutto è ostile, gli agguati si sprecano, la convivenza con gli aguzzini è insopportabile. A torturarlo è anche il ricordo di Ada, sola a Trieste, di cui non sa più nulla. Anche Ada non sa niente del padre e si angoscia per la sua sorte, mentre cerca di barcamenarsi tra la sua professione di medico e la ricerca affannosa dell’assassino che ha colpito brutalmente tre giovani donne vicino alla risiera di San Sabba. Tuti non risparmia niente ai suoi lettori, il Male non “banale” è ovunque, urticante e appuntito come il fil di ferro che incide i polsi, squarcia di ferite schiene e petti di uomini, donne e persino bambini. In un calderone dantesco dove si mescolano nazisti, fascisti, titini, spie, traditori, partigiani, sotterranei e foibe; in cui il territorio del Carso è percorso da inseguimenti e combattimenti all’ultimo sangue, la ferita più purulenta è quella di dover scegliere tra il rispetto ai propri ideali e la mediazione che forse salverebbe qualche vita.
Un libro doloroso, che ti fa riflettere sull’insensatezza delle guerre, degli odi, delle ossessioni religiose e etniche che pensavamo, poveri illusi, di esserci lasciati alle spalle.
“Risplendo non brucio” di Ilaria Tuti – Longanesi
una forte recensione
Vorrei aggiungere un mio pensiero su questo romanzo, intenso, di Tuti.
Il registro narrativo si svolge, in acute dissonanze o convergenze, e alternanze temporali e letterarie, fra Dachau, Trieste, il castello di Kransberg ( il rifugio di Hitler), Risiera di San Sabba, Istria e fino ai luoghi della Resistenza dell’ex Iugoslavia ( i Titini nel libro). I protagonisti sono due, Johann il padre internato a Dachau per attività antifascista e antinazista, e Ada dilaniata tra impegno rabbia e paura, vedova di Marco ucciso in guerra, e il figlio neonato che ha dovuto lasciare chissa dove per salvarlo. Attorno a loro si muovono i veri protagonisti di questo orrore, i capi dei lager di sterminio, i capi del lager di San Sabba, i capi del castello di Hitler: il mondo di terrore, violenza, morte, collaborazionisti fascisti di Mussolini, italiani che vendevano i loro vicini di casa alle SS e alla Gestapo tramite i fascisti italiani e istriani, giù giù fino a Dubrovnik che “doveva” essere chiamata per i fascisti Ragusa. Tuti racconta strazio e rinascita, di Johann che ridotto a “bestia” nel lager si reincarna nel suo messaggio di libertà: Risplendo non brucio. Ada precipita, il padre riscopre nell’annientamento la forza di essere uomo. Tuti non fa un ministrone di violenza e orrore, come se fossero indifferenti, Tuti sa bene da che parte stare, e lo ribadisce in ogni pagina. Le foibe riempite di cadaveri di partigiani dai nazi-fascisti, i prigionieri di San Sabba ammazzati a bastonate da nazisti e fascisti, le ceneri dei forni buttate in mare per nascondere i crimini, oppure non c’era più spazio, Ada dilaniata tra speranza impegno e amore di madre… Niente è lasciato al caso narrativo, ma l’autrice non confonde mai lotta di libertà e poteri assassini : i tanti fili spinati di cui parla diventano barriere di riscatto e di lotta contro il fascio-nazismo. Il finale, di cui non vi dico, è dolorosa pacificazione. Dopo la vittoria sulla barbarie, costruita anche sulla carne e il sangue di chi ha lottato per ritornare da “bestia” a uomo. Libero e in dignità.
Libro bello bello, ne consiglio la lettura