Il ritorno del geco

Le forze di van der Waals sono interazioni, attrattive o repulsive, tra molecole. In natura si applicano soprattutto al ritorno del figlio alle due di notte. L’interazione che si crea tra le molecole che compongono il figlio e quelle che compongono la sua dimora abituale è tale che, fino alle due, s’ingeneri una relazione di elettronegatività.

Allo scoccare della seconda ora del giorno, la relazione si inverte: le molecole del figlio (che chiameremo A) vengono attratte dalle molecole della dimora abituale (che chiameremo B) con una forza tale da creare un’energia, incontenibile e fracassona (che chiameremo EF).

Perciò A < B = EF.

Apre la porta, schiavando come se fosse il deposito di Paperon de’ Paperoni, e la richiude con fragore, per far capire che è arrabbiato col mondo che l’ha tenuto separato dagli affetti familiari così a lungo. Mi sveglio, ovviamente. Cerco di partecipare, in silenzio, ai moti che combattono l’eterna lotta tra la svagata fanciullezza e la turbolenta adolescenza, sino a che, come quando la star fa l’ingresso sul palco, si accendono tutte le luci della casa. Decido di alzarmi, per scuoterlo con altrettanta energia dal suo dilemma interiore, ma prima che riesca a infilare le ciabatte sento chiamare: «Papà?»

Sono io, indiscutibilmente. Primo, perché sono l’unico essere umano, oltre mio figlio, presente in casa. Secondo, perché la madre e la sorella del turbato e turbolento ragazzo, che di solito vivono nello stesso appartamento, non si sveglierebbero nemmeno se si iniziasse a sparare con una Walther P38 per tentare l’eliminazione di un geco che stazionasse sul muro del corridoio. Insomma, mi alzo.

Beh, non ci crederete! Sul muro giallo del corridoio c’è proprio un geco avana. Che meraviglia! M’incanto a guardare la bestiola che riesce, senza secernere alcuna sostanza collosa, a vincere la forza di gravità con l’aiuto dei milioni di peli che le ricoprono le minuscole zampette. Già, penso, l’altissima attrazione del pelo! Da queste riflessioni di fisica molecolare, vengo destato da mio figlio. «Tié, ammazzalo!»

Poiché non possediamo una Walther P38, e nessun’altra arma a percussione, mi porge uno straccio e una scopa. Chiude tutte le finestre della casa, che raggiunge in pochi istanti i quaranta gradi centigradi, e si barrica nella sua camera.

Restiamo io e la cangiante espressione della teoria vanderwaalsiana. Sono titubante. Il geco se ne accorge, perché non appena provo ad alzare la scopa scompare, portando con sé anche il suo ricordo. Lo cerco. Senza entusiasmo. Come quando cerchiamo di ricordare il viso di una donna amata un milione di anni fa. Infine, apro le finestre, spengo tutte le luci e me ne torno a dormire. In attesa del ritorno del geco o, almeno, del suo ricordo.

 

 

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