Roma è una città diversa. La migliore e la peggiore delle città, allo stesso tempo, e questo già le conferisce una tendenza all’unicità, all’amore e all’odio che da sempre la distingue.
Sono romano da settant’anni, perciò fidatevi se affermo che la mia città è decisamente, rigorosamente divisa in quartieri. Fin qui niente di strano, penserete. Ma si tratta di settori quasi a tenuta stagna, ognuno dotato di tale spiccata personalità che ogni quartiere potrebbe essere un borgo a sé, e nemmeno di dimensioni troppo piccole. Questi borghi, ed ecco il punto, sono abitati da gente spesso profondamente diversa rispetto a quella del borgo confinante, tanto da ignorarsi cordialmente. Quelli di Prati, per dire, non sanno nemmeno chi siano quelli dell’Aurelio o della Balduina, ritenendosi al massimo lontani cugini di quelli del Flaminio ma senza coinvolgere nella parentela i parvenu di Vigna Clara e della Cassia.
Il cosiddetto centro è poi una smisurata area circolare, una Disneyland all’ ennesima potenza piena di Storia e di turisti, per giunta attraversata dal sacro fiume Tevere. In termini pragmatici, un territorio blindato che il civis romanus tenta invano di attraversare con ogni mezzo, per raggiungere, quando proprio è indispensabile, l’indirizzo che ha segnato su un foglietto e che anche il navigatore della macchina stenta a identificare. Le amministrazioni comunali hanno fatto a gara, nel tempo, per rendere questi percorsi sempre più impervi, utilizzando a profusione strumenti di tortura come ZTL, corsie preferenziali (quasi sempre vuote), piste ciclabili (sempre vuote), sensi unici punitivi, multe incommensurabili, segnaletiche contraddittorie e quasi invisibili come le targhe delle strade, magnifiche lastre di marmo con scritte cancellate dai secoli.
Ma torniamo ai quartieri, perché mi preme mettere in luce un aspetto piuttosto triste, esaltato da quella rigida suddivisione di cui si parlava prima. Quando viene a mancare una persona cara, a Roma, si verifica il seguente fenomeno: poniamo che il caro estinto abitasse a S.Giovanni mentre voi risiedete, diciamo, a Piazza Bologna. Ogni tanto, per un motivo o per l’ altro, lo andavate a trovare: per affetto, per cortesia, perché avete una causa legale in corso contro di lui, insomma per vari possibili motivi. Bene, una volta passato a miglior vita lo zio, il fratello, il cognato, chiunque fosse l’ abitante di S. Giovanni, il suo quartiere non sarà mai più sfiorato dai vostri itinerari.
Anche se, soprattutto invecchiando, il passare casualmente sotto casa di questo/a o quello/a, desaparecidos in modo definitivo o semplicemente svaniti dai nostri orizzonti per mille e una ragione, finisce per liberare imprevedibili fiamme emotive, a volte di non trascurabile entità. Sono, a ben pensarci, autentici momenti della verità, istanti magici in cui comprendiamo la reale importanza del rapporto che ci legava al desaparecido/a.
Fermo restando che, a Roma, spesso il quartiere muore col caro estinto, non foss’altro per motivi di traffico e mobilità urbana.
Ditemi poi se non è una città diversa da tutte.