Eh?! Ma i fiocchi di neve sono grossi come mele! Sono quasi certa che siano pezzi di nuvole: mica possono bastare un refolo di vento freddo e quattro gocce d’acqua a spiegare tutto questo sfarfallar di cristalli, no?
Un minuto fa pioveva soltanto. Poi, il suono della danza verticale è cambiato: il ticchettio, soffocato da un guanciale fitto di piume, si è fatto fruscio, deposito muto e ostinato.
Dev’esserci una festa paesana lassù in cima, dietro quel cielo ottuso e compatto. Una sagra piena di rubicondi nanerottoli maldestri impegnati a sfilacciare grosse teste di zucchero filato. O magari è la solita Venere, ammorbata dalla posta – ordinaria o del cuore, ché il postino si confonde sempre – che straccia lettere di millantato amore e volantini pubblicitari della Fiera del Bianco. Dev’esserci qualcuno che canta il blues, a cavallo del nembo, mentre pilucca il cotone da celestiali piante tutte bioccoli gonfi e promesse; magari nobilitando, con buona pace della Goggi, l’immarcescibile, ciclica, nefasta Maledetta primavera.
Il povero albicocco, con le spalle al muro, piange petali rosa a profusione. Pare abbia chiesto, tra un singulto e l’altro, di gettare il calendario. Perché sa di presa in giro quel circoletto rosso, lasciato a strillare la (sedicente) Pasqua in arrivo.
Appesi al reticolo della passiflora come frutti bizzarri, però, i passeri ci sono, e cinguettano che è una bellezza! C’è persino il pettirosso, con la tipica livrea rinvigorita dalle lusinghe marzoline. E la tartaruga è uscita, dalla terra e dal letargo.
Domani ci sarà il sole, sicuramente.