Girando per il varesotto, chi cerca trova: e si imbatte nella storia e nell’opera di un eccellente ‘petit maitre’ italiano, Innocente Salvini (1889-1979), sconosciuto ai più, ma ben visto negli anni Trenta dai più sensibili osservatori e artisti, come per esempio Arturo Tosi, o Siro Penagini, che lo conobbe e stimò.
Di lui esiste a metà strada tra il piccolo paese di Cocquio Trevisago e quello di Gemonio (sì, il paese di elezione di Umberto Bossi) la casa natale che divenne suo studio dove abitò per tutta la vita ed oggi è adattata a museo gremito di sue opere: soggetti familiari, di vita contadina, paesaggi accesi di colore ricreante l’impressione visiva in accurata fantasia formale.
La casa è cresciuta attorno ad un vecchio mulino, e Salvini era conosciuto come “il pittore mugnaio”, sempre legato a quel luogo, una antica torre medioevale con la ruota da macina e gli ingranaggi mossi dall’acqua del torrente vicino.
Un luogo letterario del pieno ‘800 lombardo, e lui un artista schietto, ricco di cultura pittorica: il suo ‘primitivismo’ si manifesta infatti alla stregua di altri maestri schivi e appartati del nostro ‘900, come Tullio Garbari, per esempio.
Sicuramente fu il carattere, estraneo ai clamori della mondanità, a tenerlo lontano per molta parte della sua vita dagli ambienti ufficiali. Fece una prima mostra a Varese, nel 1937. Si ispirò alla poetica di Gaetano Previati, a Pellizza da Volpedo e a certa vena postdivisionista a sfondo sociale e simbolico.
Tutto il suo mondo pittorico si inquadra in pochi, reiterati soggetti (la madre, i bambini, il fratello, gli animali della fattoria, il mulino, la chiesa di S. Pietro a Gemonio, i paesaggi di collina) ed in una gamma cromatica minima, ridotta al giallo, al verde ed al rosso.
Di lui, fu ammiratore anche l’animo intelligente di Raffaellino De Grada, che ne scrisse in una retrospettiva e ne riassume la autentica espressione di realismo dai toni religiosi e intimisti.