San va lentino

Ho capito finalmente perché il giorno di San Valentino mi ammorba.
Non è per mancanza di romanticismo, né per snobismo. Non è per quella sottile linea cinica che mi scorre parallela al cuore, tantomeno perché manchi la cosiddetta dolce metà.
È per lo stomaco. Perché nessuno mai ha inventato un piatto tipico di San Valentino.
Certo, la signora Spagnoli inventò il bacio, non specificamente per questa ricorrenza, ma non è che uno può dire «vieni a pranzo da me a San Valentino, faccio i baci», o che camminando per strada possa esclamare estasiato «senti che profumo di baci appena sfornati!».
Manca l’attesa, il nonsoché di certi piatti attribuibile a un giorno soltanto, la promessa di unirsi intorno a un tavolo per qualche ora di gioiosa convivialità.
Ora so già che risponderete ammiccanti «chissenefrega della convivialità! Ci sono ben altri modi per unirsi a San Valentino…», ma così mi tocca chiedervi cosa fate negli altri 364 giorni… No, no. Dev’essere qualcosa che solo allora.
Volete mettere l’odore di frittelle nei giorni del carnevale, per dirne una? O delle grigliate a ferragosto miste al chiacchiericcio festoso di pranzi all’aperto? E le braciole della domenica? I carciofi arrostiti di casa mia poi, commoventi. E i dolci di Natale, di Pasqua… Cose che se anche uno sta soltanto affacciato ad annusare è già festa.
«Che profumo irrompe da quella finestra lassù? Essa è l’oriente e pastiera è il sole. Levati, o sole bello…». Il Bardo lo sapeva.
Invece cosa ci tocca il 14 febbraio? Qualche menù scontato nei ristoranti, spesso pubblicizzato da volantini tristissimi, e scatole
di cioccolatini a forma di cuore, torte a forma di cuore, palloncini a forma di cuore, occhi a forma di cuore, bocca a forma di cuore, cuore a forma di palle girate…
Niente da fare, Sanvalenti’, mi spiace, non hai saputo pensare in grande…

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