La città era un continente sul mare. Una terra sospesa e commossa, disperato strapiombo su navi, naufragi e derive di umani.
Il negozio di libri dava sulla strada di fronte, due vetrine educate dopo il lungo tornante. Arrampicava ansimante sulla collina abitata, incedeva ostinato contro una secolare fatica.
Lui entrò perché aveva bisogno di un luogo appartato, leggere e scrivere libri era sempre una grande fatica. Per scrivere un libro è necessario il ricordo, per ogni ricordo una vita. Ma un uomo non è come un gatto, si muore e si vive soltanto una volta: se il ricordo si è perso per strada, di tutta la vita rimane solo il suo sasso, la terra, un sospiro, una lastra d’asfalto. Delle cose più gravi raramente si scrive, e le parole servono a poco a chi non ha almeno un ricordo che possa farsi racconto.
Oltre il bancone solo il librario, nel negozio accogliente lui il solo cliente. Nessuna parola, nessun discorso obbligato. Niente da chiedere o da dovere spiegare, nessuna domanda fasulla. Libri sì, quelli tanti, di scaffale in scaffale, l’intero negozio come una scala infinita. Difficile scegliere quando si è senza parole, quando si cerca qualcuno o qualcosa che è troppo importante. Sarebbe terribile e bello che almeno talvolta fosse possibile tutto, come chi legge e chi scrive fosse la stessa persona in un libro senza ancora un finale.
Ma a volte l’imprevedibile accade. Anche il librario era sparito. Adesso guardava il mare e il suo azzurro imperfetto: oltre quei vetri quella terra era forse un approdo. Uscì nella strada, riprese il suo passo. L’indirizzo l’avrebbe senz’altro trovato. Anche l’inverno, talvolta, non è del tutto spietato.