Di solito tengo la bocca chiusa, anche se per natura dovrei aprirla qualche volta. Forse quando si pensò a me si voleva che mi comportassi come tutti gli altri, si aspettavano un bavero abbottonato.
Ma non ci è concesso di scegliere dove nascere e così nacqui proprio sul bavero, sul bavero di una giacca, più precisamente sul bavero sinistro. Condannato all’inazione, l’afflizione della mia funzione puramente ornamentale tuttavia durò assai poco.
Non servo a niente, mi ripetevo in solitudine, fino a che un bel giorno non avvertii sui denti un’estremità contundente che cercava di intromettersi a forza, uno stelo, appuntito come e più di uno stiletto.
Rimasto a bocca asciutta nell’inutile attesa di un bottone, mi ritrovai tra i denti un fiore. Ora tutti ammirano il fiore, e nessuno si accorge di me. Eppure se non ci fossi, ogni vezzo da appuntare per lustro, per vana gloria, o solo per delicatezza di sentimento, richiederebbe che il bavero fosse trafitto, lacerato, irrimediabilmente.
Sono l’occhiello del fiore all’occhiello, un’asola tra le asole che soffre d’ingratitudine e che quando finalmente il fiore appassisce e muore può tornare a respirare, almeno per un po’.
Nel 1871 nasceva Marcel Proust, il 10 luglio