di Anonimo Cronista del ventiduesimo secolo.
Roma. 18 settembre 2143. Oggi il blog Archeologiapolitica ha pubblicato un prezioso documento rinvenuto durante alcuni scavi nei pressi di Palazzo Madama, un tempo sede del Senato della Repubblica Italiana. Si tratta del testo di un discorso da pronunciare in Senato durante la discussione del 17 e 18 settembre 2013. In quella seduta l’aula fu chiamata a decidere la decadenza di un suo membro, condannato per frode fiscale. Si trattava di Silvio Berlusconi, uomo ricchissimo, leader del partito di destra, più volte capo del governo nazionale.
Non è possibile risalire all’autore dello scritto. Si suppone facesse parte del Partito Democratico, all’epoca maggior forza della sinistra. Non sappiamo nemmeno se il discorso sia mai stato pronunciato, e cosa il Senato italiano abbia infine deliberato, perché gli archivi furono in parte distrutti nel corso dei tumulti che segnarono il biennio 2017-2018. Il documento restituisce il drammatico clima del periodo, oggi difficilmente immaginabile. Ecco la parte giunta fino a noi:
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nulla che possa sorprendere.
Berlusconi è ufficialmente e in termini propri un criminale. Se questa mia affermazione provoca la sua ira, egli non è comunque nella condizione di reagire con gli strumenti della legge. Se lo definisco criminale pregiudicato dico la pura e semplice verità, in base alla sentenza che lo ha condannato in via definitiva per frode fiscale. Posso legittimamente farlo pur se quella condanna fosse frutto di un errore giudiziario o, come il condannato pretende, conseguenza di una persecuzione dei giudici lungo i tre diversi gradi di giudizio; fino a quello inappellabile della Corte di Cassazione.
Meno di un anno fa, a larghissima maggioranza da questo Parlamento, con l’apporto anche della destra, era stata approvata una legge che stabilisce la incandidabilità per l’elezione, in assemblee di ogni ordine, di persone che si trovano nella condizione come quella – appena descritta – del Berlusconi.
La condanna e la legge obbligano, dunque, a una sola conclusione: il Berlusconi, non può, non deve far più parte di questa assemblea.
Noi, però, siamo chiamati a questa decisione non in condizioni di libertà, ma sotto un pesantissimo ricatto; nelle mani del ricattatore non c’è nostro figlio ma la nostra Patria, che, se accettasse il ricatto, verrebbe spinta verso una probabile catastrofe.
In questa condizione, colleghi senatori, noi dobbiamo oggi assumere la nostra decisione, assumerci la responsabilità della decisione in condizioni di non libertà.
Scelte di questo tipo ci sottopongono al giudizio severo di chi ci guarda; ci sarà chi ci comprenderà, ci saranno altri che ci rivolgeranno critiche e perfino anatemi; ed è probabile che i secondi siano più numerosi dei primi. Sappiamo che la lacerazione fra il rispetto della legge e la tutela della Patria segnerà una cicatrice che non scomparirà; e che, nel tempo, ci riproporrà il dubbio irresolubile che la scelta che facciamo possa considerarsi il male minore.
Di tutto ciò consapevole, vi comunico la mia scelta: che il pregiudicato, il ricattatore Berlusconi resti in questa assemblea, mentre comunque si dà luogo alla detenzione e alla incandidabilità futura e alla esclusione dai pubblici uffici. La mia scelta – terribile scelta – è a tutela dell’ostaggio, dell’Italia.
Il pregiudicato Berlusconi, il ricattatore Berlusconi resti dunque in questa assemblea, in base a una decisione sovrana e insindacabile del Parlamento. Per questa volta, il Parlamento si riappropri di quel potere di “autorizzazione” che in modo troppo precipitoso e poco meditato è stato cancellato una ventina d’anni fa.
Cosa mi attendo da Berlusconi, cosa gli chiedo “in cambio”? Niente. Decida lui se vuole aggiungere altro male a quello che ha già fatto all’Italia. Io sono convinto che con la scelta che ho annunciato e motivato l’Italia disporrà di più forza per sottrarsi alle insidie e respingere le minacce, da qualunque parte provengano.