Shakespeare e una sera di mezza estate

Londra si era rivelata all’ altezza delle aspettative. E delle migliori, anche se Alex non era poi ben certo di averne davvero avute: era un sogno e i sogni, si sa, sono fatti di una materia indescrivibile.
L’importante è che sua sorella grande, sposata da diversi anni, avesse deciso finalmente di portarcelo, nella patria dei Beatles, dei Rolling Stones e di tutte le cose nuove di cui si sentiva parlare.
Aveva anche la chitarra, Alex. Una Eko da cinquemila lire con cui torturava i timpani di chiunque fosse a portata di suono, ammesso che così potesse chiamarsi lo stridente lamentio che proveniva da quello strumento primitivo.
Carnaby Street! Ragazze in minigonna e tipi allegri e tosti, coi capelli fin sulle spalle, gironzolavano affollando la strada mescolati a noi turisti. Che cercavamo di darci un tono, entrando e uscendo da botteghe mai viste prima, traboccanti degli stracci colorati che facevano gola a chiunque al mondo avesse avuto tra i quattordici e i vent’anni. Cioè lui, l’imberbe, ingenuo, assetato di vita Alex.
La giornata era assolata, il luglio inglese non era poi così diverso da quello di Roma.
Ma l’ atmosfera sì!
In una specie di bazar due ragazzi italiani si facevano stampare il loro nome su una maglietta con l’ immagine di David Bowie, e subito Alex decise che sarebbe stata benissimo coi jeans a zampa di elefante, con ricamo sul culo, che aveva appena comprato. Se la felicità esisteva, era lì, in Piccadilly Circus.
Vagando per le strade del centro si respirava aria di libertà assoluta, fin troppo inebriante per chi conosceva solo le vie grigie di piazza Bologna. Alex si sentiva come un alieno capitato sul pianeta in cui, mille anni prima, affondavano le sue radici.
Imbruniva, fatto il pieno di monumenti e colori, stanco e appagato come il cavallo vincitore nel derby, imboccò le scale del Tube, la mitica metropolitana londinese: la busta piena di dischi usati, vestiti e cianfrusaglie che avrebbero suscitato ammirazione e invidia una volta rientrato in patria era appesa alle dita di una mano, nell’altra un sacchetto di fish and chips.
Quando la vide, il suo cuore si fermò per un lunghissimo attimo. Era un angelo travestito da ragazza normalissima, più simile alle sue compagne di scuola che alle biondine sfacciate di King’s Road. O forse all’ attrice che all’ epoca stava girando il “Giulietta e Romeo” di Zeffirelli. E sorrideva a lui!
Mi piacerebbe raccontare che i due si baciarono proprio lì, sulla banchina dell’underground e poi chissà che altro.
Invece fu solo un sorriso. Un sorriso meraviglioso, condiviso con la passione che valeva un amore mai vissuto e dunque intoccabile, eterno. Il sorriso che, lo capì dopo, era un segnale ben preciso: Alex stava entrando nel mondo dei grandi. Non ne sarebbe mai più uscito.

12 commenti su “Shakespeare e una sera di mezza estate”

  1. A Carnaby Street nel settembre ’75 vendevano anche slip col fungo atomico stampato davanti, oppure la L di learner = principiante !…

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