Si vis pacem, para Trump?

Cosa porterà con sé l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, primo evento di portata mondiale del 2025? Facciamo il punto.
Le elezioni americane sono arrivate in uno dei momenti più critici della recente storia mondiale, con due conflitti, Ucraina e striscia di Gaza, la cui origine è lontana e che rappresentano uno scontro tra opposte visioni del mondo e della società, prima che tra eserciti che combattono per la conquista di un territorio. Tutto ciò è condito da un progresso tecnologico, vedi intelligenza artificiale, e industriale, se pure a uso e consumo solo di una minoranza della popolazione mondiale, che, come il gatto di Schrödinger che riusciva a rappresentare allo stesso tempo due ipotesi contrapposte, possono contemporaneamente salvare o annientare la razza umana.
È questo lo scenario che il Presidente eletto si troverà ad affrontare, consapevole del sostegno delle destre sovraniste mondiali e, dall’altro lato, dello scetticismo, se non proprio l’opposizione, delle forze socialiste e riformiste. Cosa accadrà nessuno può saperlo, ma alla luce delle sue stesse promesse elettorali che ne hanno determinato la vittoria e del suo precedente mandato, qualche ipotesi si può formulare.
Sull’Ucraina Trump è convinto di poter chiudere il conflitto in breve tempo e, almeno in questo, anche chi lo contrasta probabilmente nutre la consapevolezza interiore che sia un obiettivo alla sua portata, là dove il suo predecessore, al netto del sostegno militare a Kiev, non è arrivato. Il vero dubbio è come potrebbe riuscirci, e su questo cominciano ad apparire un po’ prematuri i festeggiamenti dei suoi sostenitori europei, in particolare “patrioti” e sovranisti vari.
Premesso che per logica prima che per politica appare un po’ curiosa una coalizione tra sovranisti di Paesi diversi, soprattutto se in concorrenza tra loro, per tutta la campagna elettorale, Trump ha sempre parlato di Europa come fratello minore parassita prima che come partner commerciale o strategico, promettendo di imporre dazi e costringere gli alleati della Nato ad aumentare la spesa militare. Con questa presentazione si può immaginare che la “pace trumpiana”, se mai si realizzerà, avrà come condizione ampie concessioni alla Russia e, dall’altro lato, fermi paletti alla possibilità che l’Ucraina, con le sue risorse naturali, terre rare in particolare, possa mai rafforzare l’Unione Europea diventandone membro.
Rispetto alla situazione a Gaza, lo sbilanciamento pro Netanyahu è fatto inoppugnabile, il timore è che gli Usa ne legittimino ulteriormente l’azione distruttiva come avvertimento per i paesi arabi non moderati e per lo stesso Putin, già indebolito in medio Oriente dopo la caduta di Assad in Siria. In entrambi i casi, ovviamente, il prezzo lo pagheranno gli Ucraini, che si ritroveranno incolpevolmente come i tedeschi di Berlino Est alla fine della seconda guerra mondiale, e i palestinesi, vittime, prima, del risiko alleato alla fine del secondo grande conflitto e, oggi, a rischio sterminio completo. In quest’ottica, una nuova intifada appare altamente probabile e tornano alla mente le parole di Andreotti:” Se fossi un palestinese, probabilmente sarei un terrorista anch’io”, e all’epoca ancora a Gaza non si moriva di fame o di freddo.
Rispetto alle sfide economiche e tecnologiche, la parola “dazi” per Trump è ormai una specie di intercalare, arma di pressione (o ricatto) verso un’Europa che, per sue responsabilità, appare debole e profondamente divisa tra sovranisti, regimi fiscali ed economie completamente disallineate e, addirittura, posizioni antitetiche rispetto a Putin. Tra queste fratture Trump proverà ad incunearsi, immaginando di dividere l’Europa e puntare su governi satellite per garantirsi, da una parte, un controllo indiretto e, dall’altra, rendere inoffensivo un potenziale concorrente, potendosi così concentrare sul vero avversario, l’unico in grado di rovinare i suoi piani: la Cina,
Per carità, parliamo sempre di ipotesi, ma se davvero fosse questo il prezzo da pagare per una “pace trumpiana”, saremmo davvero pronti a pagarlo, in particolare quei sovranisti che vedrebbero, di fatto, i propri Paesi ridotti a valvassini? E noi saremmo disposti a rinunciare a quell’idea di Europa unita, capace di competere con le altre superpotenze in nome di una pace il cui prezzo, sostanzialmente, lo pagherebbe non solo l’Ucraina ma tutti noi a lungo termine?

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