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Silvia Bre e la poesia casa

Poi muoviamo le pentole nella sua casa

facciamo rumore chiamandoci
da una camera all’altra, perché il reale
in cui provava lo strazio di sognare
è qui, affondato nei dettagli
tra le stelle di natale.
Lasciati andare, padre, dentro di noi.

 

Silvia Bre letta da Anna Toscano

 

Silvia Bre con i suoi versi costruisce luoghi e tempi in cui vivere, in cui vive: vive la sua poesia come una casa, la edifica con le sue parole e la abita spostandone oggetti, ricevendo visite, patendo tristezze e gioie, talvolta abbattendone i muri. In questa casa-poesia talvolta è notte, un buio che attende l’alba e il giorno dove partecipare al “silenzioso guardarsi delle cose”, con aderenza alle parole-cose in una brevità che anela all’eterno. La poesia in lei è la concisione dell’esattezza, la precisione del sogno, la pensosità dell’avventura, perché “si è la forma / che si forma ciecamente / nel suo dire di sé / per vocazione”. La contemporaneità e la quotidianità entrano nella lirica di Bre in una continua visitazione attraverso la lente della complessità del reale. La parola che vive, che ferisce, che dà o toglie percezione: “la vita si era sciolta / dalle parole / tutta ferita / si trascinava via […]”. La parola diviene ricordo per richiamare il reale “affondato nei dettagli”, è la poesia di chi resta, è la testimonianza di sé come connessione con un altro tempo ma anche come presenza al proprio tempo fatto di storia, di lingua, di tradizioni perché “Nei secoli dei secoli / la camera del mondo è il tuo parlare / voce è questo / dare spazio a qualcosa /al suo passare”.

 

Silvia Bre, La fine di quest’arte, Torino, Einaudi, 2015

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