SIMON ARMITAGE

Simon Armitage è il nuovo poeta laureato britannico, nella linea di Lord Tennyson, William Wordsworth e Ted Hughes. Nella tradizione a questa figura venivano chieste composizioni d’occasione per la nascita, le nozze, la morte dei reali, ma oggi non è più un obbligo. A colei che l’aveva preceduto, Carol Ann Duffy (prima donna a ricevere l’alloro) si rimproverava di aver esercitato il compito con riluttanza, anche se la poetessa si era prodotta in un epitalamio sulle nozze di Harry e Meghan. Armitage (che fino a ieri ha insegnato poesia a Oxford) ha già anticipato che non scriverà poesie sulla nascita del nuovo royal baby, e comunque anche nel nuovo incarico aspetterà l’ispirazione: “Se sapessi dove trovarle, queste poesie, ci andrei domani col carrello della spesa e lo riempirei”, ha ironizzato.
E’ nativo dello Yorkshire proletario (“sono tutto fatto in casa”, dichiara), ha 56 anni e fino al 1994 ha lavorato come agente addetto alla sorveglianza delle persone in libertà vigilata. Ha vinto numerosi premi letterari, ha scritto e interpretato documentari televisivi, la regina lo ha nominato cavaliere; nel 2010, come gli antichi poeti itineranti, ha percorso a piedi i 400 chilometri del Pennine Way, dalla Scozia al Derbyshire, verso il villaggio natio di Mardsen, fermandosi lungo il cammino a leggere poesie in cambio di cibo e piccole somme di denaro; da questa esperienza ha tratto il libro Walking Home.

NOVEMBRE

Camminiamo verso il reparto, la macchina l’abbiamo parcheggiata male,
tua nonna fa quattro passetti ogni due dei nostri.
L’abbiamo portata qui a morire, e lo sappiamo.

Controlli che ci sia l’asciugamano, il sapone, le cianfrusaglie di casa,
le tagli le unghie, la impacchetti nelle coperte ruvide,
e lei affonda nella sua incontinenza.

È il tempo, John. Nei loro pallidi sorrisi senza vita,
nei loro seni cadenti, i loro cervelli intontiti, la loro calvizie
e anche in noi, John: noi siamo quasi questi mostri.

Tu sei distrutto. Mi dai le chiavi e io guido
dentro il crepuscolo, oltre la famosa stazione
verso casa tua, per stordirci di alcol.

Dentro proviamo il terrore dell’oscurità che incombe,
Fuori contempliamo la sera, un altro fallimento,
e lasciamo fare. Non riusciamo ad aprire bocca.

Certe volte il sole brilla e ci sentiamo vivi.
Qualcosa dobbiamo pur tirare fuori, John, da questa vita.

 

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