La casa di Leo e Sandra era a un isolato dalla torretta di controllo della prigione. Non era difficile trovarla risalendo la strada che costeggiava il fiume. Era una casa di legno a due piani, dipinta di verde chiaro. Leo, un omone in bermuda e canottiera, coi capelli neri che ricadevano sulla faccia sorridente, aspettava in giardino vicino al braciere del barbecue. Gli amici arrivavano a due a due con le auto, portando hot dog, hamburger e birra in pacchi da sei. La madre di Sandra portò un vassoio di lasagne e un’insalata di riso. Leo dispose tutto sulla tavola che aveva apparecchiata sotto il tendone di plastica. La mattina era piovuto e Leo aveva issato il tendone in giardino per proteggere la festicciola da nuovi acquazzoni.
In fondo al giardino, oltre la siepe, c’era il suo orto, un campicello in pendio, con cipolle, pomodori, piante aromatiche per la cucina. “Più che un polacco, sembri un italiano, da come tieni l’orto!” dicevano gli amici ammirati. La madre di Sandra, una bionda minuta e lentigginosa, guardava le piantine di prezzemolo e basilico e pensava che Leo era proprio un bravo ragazzo. Il suo ex-marito, il padre di Sandra, non era venuto alla festa, non voleva incontrare l’uomo che conviveva con la figlia senza decidersi a sposarla. Vicino a quel gigante di Leo, Sandra pareva troppo bassa, e ultimamente aveva messo su qualche chilo di troppo. Il viso, però, era luminoso, gli occhi intensi e nervosi, il nasino francese e le lentiggini di contorno.
Mentre Leo rigirava la carne sulla brace, Sandra faceva conversazione con gli amici e mostrava le foto del loro viaggio sulle Catskill Mountains. Era la prima volta che Leo si era deciso a portarla fuori. Tutte le feste altrimenti le passavano in barca sul fiume. “Il fiume, sempre il fiume. È innamorato del fiume, lui, non di me!”
Sandra vendeva giornali alla fermata del treno lungo la costa, e il fiume lo vedeva tutti i giorni, dalle cinque di mattina. Vedeva la gente salire frettolosa, andare e venire su e giù per la linea, ma lei non si era mai mossa di lì, sempre attaccata alla sua pila di carta sporca.
“Mamma, vieni dentro,” disse Sandra facendo un cenno alla madre. La fece entrare in cucina e le mostrò l’anello che Leo le aveva regalato sulle Catskills. “La mia fuga dell’altra volta è servita a qualcosa,” disse ridendo. La madre ricordò quando Sandra era tornata a casa all’improvviso, dopo mezzanotte, in lacrime, e con l’odore di whisky addosso.
“Ma non ti ho chiamato per questo,” fece Sandra con gli occhi maliziosi. “Guarda un po’ qua.” E tirò fuori una scatolina da dietro uno scaffale. La madre esclamò: “Oh, un altro anello!”
“Questo non è di Leo,” disse Sandra gongolando. “Questo me lo ha dato Greg, un ragazzo che ho conosciuto giù alla stazione. È un mese che mi fa la corte. Fa il taxista da quelle parti.”
“E cosa intendi fare?” esclamò la madre. “Non vorrai illudere due persone.”
“Oh, mamma! Sto con Leo da due anni e non ho mai avuto una soddisfazione. Lui non apprezza molto la mia fedeltà, sennò mi avrebbe sposato.”
“Anch’io avrei dei dubbi a sposarti, se fossi in lui. Col caratterino che ti ritrovi!”
Sandra alzò le spalle e uscì. La madre sospirò e girò gli occhi per la stanza ordinata e linda, non certo merito di sua figlia. Trofei di pesca luccicavano sulle mensole e sulle pareti, insieme a foto di reduci e brigate di pompieri. Leo faceva il pompiere. Teneva in casa una collezione di fucili. La guerra gli aveva lasciato la passione per le armi. Così pacioccone, nessuno avrebbe detto che Leo era un reduce con medaglia al valore.
“Signora Emily,” gridò Leo dal giardino, “la carne è cotta!”
I convitati erano già disposti con le sedie intorno al tavolo e facevano girare i piatti di plastica con i sandwich. Uscendo dalla porta smerigliata della cucina, la signora Emily vide l’allegra tavolata, con Sandra e Leo abbracciati accanto al barbecue, e desiderò che il tempo si fermasse nei suoi occhi, come un’istantanea a colori.
Saranno state le tre di notte quando la signora Emily si svegliò di soprassalto. Un’auto aveva frenato bruscamente sotto la sua finestra e qualcuno stava bussando ai vetri della porta sul retro. Corse trafelata, allacciandosi la vestaglia e preparandosi al peggio. Era Sandra, di nuovo in fuga, ma stavolta si era portata qualcuno. “Mamma, Leo sa tutto. Gliel’ho detto stasera. Questo è Greg.”
Un giovane gracile, col viso affilato e i capelli lunghi, si nascondeva dietro Sandra, quasi vergognoso di presentarsi. La signora Emily non aveva voglia di parlare, di sapere. Preparò il letto nel sottoscala per lui, disse a Sandra che poteva dormire in camera con lei. Sandra scese nel sottoscala con Greg. Il mattino dopo era domenica, e trovarono l’auto che Greg aveva parcheggiato sotto casa con tutti i fanalini rotti e i fari schiacciati.
Pioveva a dirotto. Sandra si fece accompagnare dalla madre a casa di Leo a prendere le sue cose e trovarono la casa vuota, con bottiglie, bicchieri e lattine sparsi dappertutto sul pavimento. La cucina era la stanza più devastata. Il set di contenitori di vetro per il tè e per le erbe aromatiche, che stava in fila ordinata sulla credenza, era in frantumi, il bidone dell’immondizia rovesciato e i mobili ammaccati. Dietro la porta trovarono la mazza da golf con cui Leo doveva aver sfogato la sua furia.
In quel momento Leo era al parcheggio sul fiume, là dove Sandra vendeva i giornali ogni mattina. Stava seduto nell’auto chiusa, sotto lo scroscio di pioggia, vicino al traliccio del ponte sulla ferrovia. Il fiume si vedeva appena, tra i vapori di nebbia e pioggia. Era venuto ad aspettare Greg, ma poi si era ricordato che Greg non faceva servizio la domenica, come Sandra. Così si erano visti tutti i giorni, lei e Greg, proprio lì, al distributore automatico dove Sandra appoggiava i giornali e fermava i passanti che andavano a lavorare in città. Greg li portava al treno col taxi, lei li riforniva dei fogliacci con cui si sarebbero sporcati le dita sul treno, digerendo le ultime disgrazie del pianeta insieme alla colazione. Sandra e Greg guardavano il treno pieno di giornali aperti filare via sulle rotaie e restavano insieme a chiacchierare e a guardarsi finché non arrivava un altro treno. Ecco com’era successo.
Con le braccia a schermo sul volante, Leo abbassò la testa e pianse. La pioggia picchiettava sul tetto dell’automobile chiusa. Un’auto sola, in un parcheggio sterrato, allagato di pioggia.
Oltre le rotaie, il grande fiume scorreva silenzioso e gonfio. Tutto, sulla terra e nell’aria era saturo d’acqua. Leo non piangeva più. Fissava le gocce riprodursi sul vetro dopo il passaggio del tergicristallo. Per un attimo vedeva gli alberi davanti a sé, nel semicerchio pulito, poi tutto ritornava indistinto e acquoso. Forse stava sognando. Forse era un altro incubo, come quello della palude. Un giorno e una notte con l’acqua alle ginocchia, e il cadavere del suo amico di brigata che galleggiava a testa in giù. Solo nella boscaglia, attento a ogni fruscio, a ogni ombra, il collo irrigidito, gli occhi dilatati nel buio. Se l’era fatta addosso, lì nel pantano, ma non si era mosso, non aveva fiatato, impietrito dalla paura, finché l’elicottero non era arrivato all’alba a tirarlo fuori. Anche da quest’incubo si sarebbe tirato fuori. Sandra sarebbe tornata. Forse era già tornata…
Si tirò su dal volante e avviò il motore. Arrivò a casa a tutto gas, entrò dalla cucina, senza vedere il pavimento ingombro di rifiuti e vetri rotti. Passò di stanza in stanza, poi notò che sullo stendino del bagno mancavano le mutandine di lei. Salì in camera da letto e aprì i cassetti. Sandra era tornata, ma per portarsi via la biancheria. Sentì il sangue salirgli alla testa e la sensazione di irrealtà dilatarsi attorno a lui. Sbatté contro le sedie, allontanò da sé con un calcio il comodino, fracassando l’abat-jour contro la testata del letto. Andò in salotto ringhiando come una belva ferita. Corse a prendere il fucile nel mobiletto dove custodiva le armi e si mise a spaccare con quello i vetri della finestra.
La finestra del salotto dava sulla parte del fiume dove si alzava il muro di cinta della prigione. La torre d’angolo era occupata dalla vedetta di turno, che si era fermata a ripararsi dalla pioggia. Leo poteva vedere il fumo della sigaretta che saliva bianco dentro la garitta scura. Sparò due colpi verso la guardia e si acquattò. Poi si spostò a destra e vide il furgoncino viola del gelataio che saliva lo stradone oltre l’orto. Prese la mira e sparò. S’acquattò di nuovo e sentì una sirena risuonare da dentro le mura della prigione. Si mise carponi sul tappeto, col viso e il fucile puntati verso il vano della finestra. Poteva vedere le cime degli alberi, con le foglie strapazzate dalla pioggia. Sparò anche a quelle. Non sarebbe rimasto lì fermo a farsela sotto. Strisciò verso il mobiletto e tirò fuori l’altro fucile e le tre pistole. Poi prese le scatole delle cartucce. Corse giù a chiudere il portone e lo barricò coi tavoli. Sentì da fuori lo stridere dei freni delle auto, mentre un coro di sirene saliva verso di lui da tutte le direzioni. Dallo spioncino del portone vide due volanti della polizia davanti alla casa, coi lampeggianti rossi accesi. Corse alla finestra del bagno, si sporse col fucile e sparò. Qualcuno col megafono cominciò a gridargli di uscire, che era circondato.
Leo si accasciò sulle mattonelle del bagno, la schiena contro lo stendino dei panni. Chiuse gli occhi e sentì il cuore battere su per la parte sinistra del collo, fin dentro la testa. Riaprì gli occhi, ma era ancora seduto lì, contro lo stendino vuoto, col rumore stridulo delle sirene tutt’intorno alla casa. Pensò di essere impazzito. Corse carponi fino in salotto e cercò tra le bottiglie accatastate. Finì di scolarsi quel che era rimasto dalla sera prima e aspettò, seduto in poltrona, con gli occhi fissi al muro, verso la foto gigante della sua brigata.
Il primo poliziotto che entrò, scavalcando la finestra del bagno a pianterreno, lo trovò ancora seduto. Gli tolse il fucile di mano. Leo lo guardò inorridito, poi tornò a fissare la foto sul muro e non fece più resistenza di un fagotto di stracci, quando lo trascinarono via sull’ambulanza militare.
Legato nel lettuccio tra due guardie, mentre l’ambulanza sfrecciava via con le sirene spiegate, Leo sentì il dolore salirgli in gola come fiele amaro. Non vedeva la fine di questo incubo. Aveva aspettato, ma la normalità non tornava per lui. Quel cullarsi sicuro dei giorni, nella barca sul fiume. Il ticchettare delle ore sempre uguali. Che cosa aveva spezzato l’orologio, rotto gli ormeggi? Vedeva l’interno dell’ambulanza, le divise dei militari, il cappuccio bianco di un’infermiera, come un estraneo, ma nei recessi dell’anima le immagini si riflettevano distorte, cariche di minaccia. Fu sopraffatto dalla nausea. Questa non era la sua vita. Stavano portando via qualcun altro. Poi gli traversò la mente il ricordo della sua casa vuota. La memoria tentava di ricucirlo al presente, ma la coscienza si ritraeva inorridita. Stavolta all’amo aveva abboccato un pesce troppo grosso per Leo. Un mostro marino stava rimorchiando la sua barca sempre più lontano dal fiume. La vertigine del mare aperto, dell’azzurro confine del nulla, lo aspettava come una voragine spalancata. “Mamma! Mamma!” gridò.
“Falla finita!” lo zittì il caporale seduto al suo fianco, accompagnando il grugnito con una gomitata. Leo, terrorizzato, dilatò gli occhi e si restrinse nel lettino senza fiatare. Un dolore acuto al braccio fu il segnale reale che l’infermiera gli stava iniettando qualcosa. Poco dopo, Leo perse conoscenza.
La centrale di polizia avvisò la signora Emily per telefono. Greg tornò a casa sua, mentre Emily e Sandra corsero in centrale. Sandra era pallida, sopraffatta dalla notizia che Leo fosse impazzito per lei. Voleva vederlo, parlargli, ma una poliziotta della centrale disse Leo era con un terapeuta adesso. L’avrebbero portato quanto prima al Veterans’ Hospital per l’esame psichiatrico. Lui stesso aveva espresso il desiderio di non rivederla. A questa nuova, Sandra scoppiò a piangere, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia di plastica bianca dell’ufficio di polizia.
Tutto era bianco nella stanza, i mobili, le pareti, il pavimento plastificato. E su tutto quel bianco facevano contrasto le divise blu degli agenti. Sandra desiderò che anche gli agenti fossero tutti bianchi, che quel posto fosse un ospedale, che Leo fosse ferito con onore in una corsia, e non matto per lei al VH. Non voleva pensare più, non voleva più sentire. Desiderava solo che qualcuno si prendesse cura di lei, e si accorse di invidiare Leo, ora al centro di tante attenzioni. Lui non poteva farle da marito, ora era chiaro. Voleva lui tutte le attenzioni.
Leo fu dichiarato affetto da disturbo post-traumatico per lo stress subìto in guerra. Non aveva ferito nessuno e si era arreso senza opporre resistenza, quindi la condanna fu mitigata a otto mesi nella clinica psichiatrica della prigione di Sing Sing, dove lo imbottirono di psicofarmaci.
Il giorno del rilascio la madre lo aspettava fuori, appoggiata all’auto, i capelli bianchi spettinati dal vento. Leo le disse che intendeva tornare a piedi alla casa verde.
“Non è più casa tua ormai. Dopo quel che hai combinato, nessuno ti affitterà neppure una stanza. È già tanto se trovi un lavoro.”
“Tornerò a fare il pompiere.”
“Li ho chiamati,” disse la madre, e scosse la testa, con la disperazione negli occhi.
“E Sandra?”
“Sandra si è sposata con Greg, quel mingherlino.”
Leo sentì la vista appannarsi, e non disse più nulla fino a casa della madre. Buttò nel wc gli psicofarmaci prescritti, tirò lo sciacquone e andò a dormire nella sua vecchia camera.
Passò la notte a ricordare il viso di Sandra, il corpo di Sandra, i suoi capelli. La ricordava come l’aveva vista quella notte sulle Catskills, nella suite matrimoniale dell’albergo, tra le lenzuola. Sandra era stata felice quella notte. Sembrava la loro luna di miele. Perché non l’aveva sposata allora? Aveva avuto paura di legarsi. Aveva rimandato la decisione, come se la vita e Sandra fossero eternamente lì per lui, e non ci fosse rischio di perderle.
Il giorno dopo disse alla madre che andava a cercare lavoro, ma andò a cercare Greg alla fermata del treno sul fiume.
Il telegiornale della sera pubblicò l’immagine di Greg riverso nel suo taxi e la pila di giornali sporchi del sangue di Sandra. Leo aveva usato la Beretta che teneva nascosta a casa di sua madre, e aveva lasciato l’ultimo colpo per sé.
È una storia triste e cruda che mi ha coinvolto molto. Chi è il cattivo? Chi è il buono? Si poteva fare qualcosa per salvarli tutti? Ma la vita reale purtroppo è anche così. Grazie per la pubblicazione
un bellissimo racconto!
Un condensato di drammatica vita che sembra inabissarsi nei vortici del fiume che fa sfondo, con la sua malinconia.
I personaggi anche se delineati con pochi tratti sembrano persone vive accanto a noi.
Il finale a sorpresa è scioccante, ma in America dev’essere molto prevedibile, con tutte le sparatorie di massa ogni giorno! Grande capacità espressiva di Patrizia Tenda a farci entrare in quel mondo di follia.
Il finale a sorpresa è scioccante, ma in America dev’essere molto prevedibile, con tutte le sparatorie di massa! Grande capacità espressiva di Patrizia Tenda a farci entrare in quel mondo di follia.
Mi sono rimasti impressi “il treno pieno di giornali aperti filava via sulle rotaie”, e il tour de force dentro la mente sdoppiata del veterano di guerra. Molto visiva, perciò ti prende. Forte suspense, come un thriller.
L’abuso di psicofarmaci, al posto di vere terapie psicologiche, è una piaga anche da noi. La facilità con cui anche le persone disturbate comprano le armi, per fortuna da noi no. Le persone narcisiste ed egocentriche (come mi pare sia Sandra, la donna che tradisce), di quelle è pieno il mondo. L’autrice suggerisce appena questi temi, oltre al trauma della guerra, ma si capisce che la tragedia succede per queste cause esplosive, non affrontate né risolte. Un incredibile spaccato d’America in un breve racconto. Complimenti, Patrizia Tenda.
Grande capacità espressiva di Patrizia Tenda a farci entrare in quel mondo di follia.
struggente, ma asciutto, essenziale. Bellissimo
Un racconto intenso che alterna la leggerezza lenta dell’atmosfera spesso superficialmente serena delle famiglie, alla concitazione dei momenti in cui rabbia incontrollata e istinti violenti prendono il sopravvento per gelosia, senso del possesso dell’uomo sulla donna, vecchi traumi non superati.
Leo e Sandra, una casa verde, ma vicino Sing Sing, una vita “normale.
E un “convitato di pietra”, la guerra con i suoi morti durante e dopo; con i suoi traumi perenni, le sue vittime di lungo periodo.
La guerra, capace di trasformare un uomo gioviale che coltiva piante aromatiche in un mostro che uccide.
Molto coinvolgente questo racconto. Mi ha fatto tornare alla mente il romanzo Io sono Dio di Faletti.
Racconto cinematografico. Sembra di vederli scorrere sullo schermo i personaggi il fiume la prigione. Sono descritti molto bene e il ritmo della scrittura ti tiene legata alla lettura.