Slow News Lento ma vero

Click, click, click. Banner, banner, banner. È sempre una rincorsa. Eccola qui l’attualità del giornalismo. Ma è davvero questa l’informazione che vogliamo? Se si assiste a Slow News, film documentario sul mondo giornalistico, la strada non pare per forza questa.
Un’alternativa al ridondante giornalismo da click prende spunto dal libro di Peter Laufer, docente di giornalismo all’Università dell’Oregon e ideatore del movimento internazionale che guarda alle Slow News. Il documentario è diviso in due parti.
La prima esplora la situazione dei media oggi, analizzando due fenomeni estremamente attuali quali il clickbait e le fake news, elementi che hanno modificato il ruolo del giornalismo, spingendolo lungo un crinale di bassissima credibilità e di verità alternative, spesso solo un modo differente di definire falsità.
La seconda parte, invece, è incentrata su chi ha scelto una diversa modalità di fare informazione, tornando a vecchie, ma corrette, pratiche giornalistiche, adattandole, naturalmente, all’attuale panorama dei media.
Il film, basato su diverse interviste a sociologi, storici e giornalisti che hanno adottato i principi del “giornalismo lento”, doveva uscire nel marzo del 2020, ossia due anni e mezzo fa. Ma, come ben sappiamo, la pandemia ha bloccato tutto, in special modo la cultura in generale ed il cinema in particolare. E tuttavia nulla è mutato da allora. Anzi. Il film documentario risulta estremamente attuale, vista l’enorme quantità di fake news, che hanno prolificato proprio in ambito pandemico, con siti di controinformazione che, per l’appunto, spesso non facevano che spacciare panzane epocali per verità scomode.
Slow News sostiene, nella sostanza, che la sfida del giornalismo del terzo millennio si vinca, o si possa quantomeno provare a vincere, mettendosi in discussione, rendendosi credibili, facendo ricerca, tornando ad avere fonti dirette e lavorando sugli articoli in maniera approfondita e professionale. E se soluzioni preconfezionate non esistono, il prendersela con i social network, o peggio ancora con i (mancati) lettori, può lavare la coscienza giornalistica, ma non sposta di una virgola lo stato delle cose. In fondo, gli esempi di successo portati dal documentario rappresentano, insieme, una speranza e un modus operandi verso cui tendere. Certo, poi, nella realtà, vi sono gli editori, i direttori, i caporedattori e, last but not least, vi è il vil denaro. Ma questa è un’altra storia. E, dopotutto, si può provare effettivamente a compiere, tutti quanti, un passo indietro. Per poi rimettersi in marcia verso la notizia, magari smascherando quelle che si vogliono far passare come tali.
Perché, in fondo, se qualcosa ci ha insegnato una pandemia mondiale che non si vedeva da oltre un secolo, è che il principio in base a cui ognuno possa parlare della qualunque, è un filino in disuso. Vivaddio.

Con questo link (https://vimeo.com/ondemand/slownewsitalia) si può scaricare a modestissimo pagamento il film, attualmente in programmazione in alcune sale del Piemonte, in abbinamento a corsi di aggiornamento per l’ordine dei giornalisti.

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