Smombie

“Dottore, perché mi avete messo la camicia di forza? Perché sto chiuso qui? Non ho fatto niente di male. Ho solo cercato di evadere da questo mondo. Faccio un lavoro di merda come il 90% delle persone. Parto la mattina all’alba e torno che il sole non c’è più. Sempre stanco, quasi morto. Una volta avevo una famiglia dove tornare la sera. Cenare, scherzare, chiacchierare ma anche parlare di cose serie. Ora torno e la cena fa schifo. L’ha preparata controvoglia mia moglie Marta, troppo persa dietro sms, fb, gruppi whatsapp e tv. L’unico pasto che faccio a casa è uguale alla mensa ma me ne accorgo solo io. Paolo e Serena, i nostri due figli adoldementi, ingurgitano di tutto come la madre. Non me ne fregherebbe niente se, com’era prima, potessi parlare del mio incubo, di quanto sto male. E ascoltare i loro casini, consigliarci. Ma quando mai!?! L’unica cosa importante è che davanti ai loro occhi, ebeti quanto i miei, ci sia l’amico, falso più di Giuda, nonché fidatissimo pusher di tossicodipendenze: lo smartphone. Siamo estranei che coabitano. Ognuno chiuso nel suo falso mondo virtuale. A volte una risatina accompagna l’ultima stronzata; ogni tanto un ecchecazz come commento. E io che fingo di guardare il tg specchiandomi nella nostra vuota desolazione. Negli anni ‘60 i Provos sconvolsero il mondo. Perso per perso tentai, recitando a braccio il mio incubo ricorrente: «Ieri ho distrutto il mio smartphone a martellate e oggi pomeriggio non sono andato al lavoro. Al bar 581 c’è uno che contrabbanda armi. Ho comprato un fucile a pompa, un M 16, una magnum 357 e 43 bombe a mano Arges, le più potenti al mondo. Rientrato in ufficio ho fatto una strage. Tutti morti, finalmente. Dovevate vedere il direttore tecnico come mi implorava. Arriva la polizia. Dalla finestra, mentre mi sparano, lancio 5 bombe. Non se n’è salvato uno. Poi, abbattuti i droni, ho avuto il tempo di tornare qui. Ho i minuti contati. Con un po’ di fortuna tra un paio d’ore passo la frontiera. Se mi fermano sono c…i loro. Ho caricato le armi in macchina. Sarà uno scherzo aprirmi un varco… e se mi ammazzano chissenefrega!» Mi alzai e dissi teatralmente « Addio.» Nessuno udì una parola né si mosse. Dopo qualche secondo mia moglie «Non ho capito. Devi partire per lavoro?» «Sì Marta, non ti disturbare. Preparo io il trolley.» «Grazie. Sto vedendo un video troppo bello. Pensa che è il nuovo make up di Esther, l’influencer dei vip. Telefona quando arrivi.» Pensavo di aver recitato bene. Purtroppo non c’erano spettatori da sconvolgere ma solo tre zombi con lo smartphone. Volevo andarmene lontano e ho preso la macchina. Poi si è mischiato tutto. Realtà, fantasie, incubi, sogni. Mi ferma la polizia per un controllo. Non so perché confesso che ho fatto una strage al lavoro. Mi arrestano. Mi agito, mi ribello. «Non è vero. Sto scherzando! Non lo so. Voi chi siete? Dove sono? Io chi sono?» Mi hanno sedato e portato qui. Ma lo so che non ho fatto del male a nessuno. Che volete da me? Di cosa mi accusate?” “Di aver compiuto un crimine orrendo nei confronti della società. Il suo comportamento mina le basi del quieto vivere e della pace sociale raggiunta con tanti sacrifici. Rappresenta un pericolo. Un virus che potrebbe diffondersi! Quindi rimarrà rinchiuso qui dentro. Sarà oggetto di studi minuziosi. Stabiliremo noi se è un folle da curare o un criminale da reprimere. Portatelo via!”

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