Sognando gli Stati Uniti d’Europa

 

Anno 1992, avevo 10 anni. I nonni mi raccontavano la guerra e a scuola la maestra mi raccontava l’Europa. Ricordo ancora i temi sull’Europa. L’importanza di essere uniti. Nella mia mente di bambino era realmente semplice, quasi banale, un intero continente da esplorare, senza limiti, senza barriere. Popoli che si erano combattuti per millenni, una terra che aveva visto nascere e morire imperi, aveva finalmente scoperto una vera democrazia. Perché quello è il vero significato di democrazia: accoglienza, integrazione, collaborazione. Rinunciare ad una parte della propria libertà per essere liberi insieme ed essere sicuri di esserlo.

 

Sono cresciuto con il sogno degli Stati Uniti d’Europa. Mi era stato spiegato che dopo millenni di divisioni era normale che ci volesse tempo, ma loro, gli adulti, stavano pensando a noi. Stavano creando un mondo in cui saremmo stati liberi e sicuri. Soprattutto, ci stavano educando a essere cittadini di quel mondo. Per loro magari era tardi, alcuni ancora ricordavano il tedesco invasore o il francese antipatico. Ma noi no, noi saremmo stati europei. Quello era il loro regalo per il nostro futuro, la loro legacy.

 

Anno 2000. 18 anni. Ricordo l’eccitazione. La moneta unica per i miei 18 anni. Non potevo avere un regalo migliore. I miei nonni, i miei genitori, alla fine mi avevano regalato l’Europa che avevano promesso. Superato lo scoglio dell’Euro, il resto sarebbe venuto da sé. La costituzione europea era alle porte e chissà come sarebbe stato scegliere un candidato francese al parlamento europeo? Forse era meglio studiarle le lingue!

 

Negli anni successivi lo studio, l’amore, il lavoro, la famiglia. In sottofondo però sempre l’attesa. L’attesa di quel mondo immaginato, che tardava ad arrivare ma sarebbe prima o poi arrivato.

 

Nell’ultimo decennio la spinta anti-europea sempre più forte, il malcontento, i localismi, il populismo. Perché poi di questo si tratta. Quanti di voi che vi lamentate siete stati realmente maltrattati dall’Europa?

 

Io posso dire che, grazie all’Europa, il mio datore di lavoro ha dovuto pagare gli arretrati e sbloccare lo stipendio.

Io posso dire che, grazie all’Europa sono stato in 4 nazioni nell’ultimo anno, prendendo voli a basso costo e facendo avanti e indietro, senza problemi. tra Italia e Germania, ogni mese.

Io posso dire che, grazie all’Europa, non devo cambiare moneta, portare un passaporto, fare un’assicurazione sanitaria quando mi sposto.

Io posso dire che grazie, all’Europa, venire a vivere in Germania è stato di poco più faticoso che trasferirsi in un’altra regione.

 

Potrei dire tanti altri grazie. O potrei dire cose che l’Europa mi ha imposto e che hanno rovinato la mia vita? Potrei? A dire il vero non posso, quelle me le hanno dette i giornali, la TV, i blog, ma realmente, io non le ho mai viste.

 

Dare la colpa all’Europa è diventato lo sport dei politici europei. Dare la colpa all’Europa è un modo semplice semplice per rimanere puliti davanti al popolo. Il Brexit, per il popolo, è stato un voto di paura e protesta non un ragionamento di interesse. A pensarci però la Gran Bretagna era madre dei privilegi europei e un freno per una vera unificazione.

 

Se c’è qualcosa di marcio non è l’Europa, sono i governi nazionali che non vogliono cedere potere né verso l’alto né verso il basso. Non è uscendo dall’Europa che risolveremo i problemi o guadagneremo autonomie locali, ma entrandoci veramente. Non ho una sfera di cristallo, non so come evolverà l’economia. Non mi interessa.

 

Ci sono milioni di Italiani sparsi per l’Europa. Lavoro, disoccupazione, “fughe”. Ma accanto a loro c’è una nuova generazione di ragazzi che scelgono di spostarsi e viaggiare perché in realtà sentono di rimanere a casa, di ragazzi che sono cittadini europei e che non hanno una vera rappresentanza. Di ragazzi che non voterebbero “dentro l’Europa” ma “siamo l’Europa”.

 

Non mi interessa parlarvi di economia. Mi interessa farvi ricordare quel bambino che quasi 30 anni fa sognava l’Europa e dei nostri figli che hanno il diritto di viverla.

 

 

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