Per motivi del tutto inspiegabili Emile Cavanaugh, 67 anni nemmeno tanto ben portati, è seduto in questo momento sulla panchina della nazionale inglese, tra le riserve pronte a scendere in campo per risollevare le sorti dei leoni biancorossi, soccombenti a Wembley per uno a zero nella sfida europea con i rivali di sempre, l’irriducibile Germania.
I colleghi di panca guardano Cavanaugh come fosse uno scarafaggio, anzi no, non lo guardano proprio. Emil è l’uomo invisibile, lui non c’è perché non ci DEVE essere. E’ uno scherzo del destino, lo sono le sue spallucce cadenti e il suo fisico incongruo, schiacciato tra bestioni da uno e novanta muniti di muscolature ipertrofiche, forgiate allo spasimo in anni e anni di allenamenti.
E’ il minuto numero 85, vale a dire cinque minuti più un recupero che si prevede non più lungo di tre o quattro giri supplementari di orologio. Forse otto minuti insomma, prima della dèbacle più amara per milioni di inglesi.
Gareth Southgate, l’allenatore, si gira improvvisamente verso la panchina. Ha una smorfia quasi ironica, che tutti interpretano come un tic dovuto alla tensione che lo divora. I nervi di sette o otto giganti si tendono all’unisono. Toccherà a me, sarò io la carta della disperazione, l’uomo cui viene data la chance di entrare nella storia? Ma Southgate fa un cenno in direzione di Cavanaugh. “It’s up to you.” Cinque parole secche, irreali, impossibili. Dopo un attimo di sconcerto generale, Emile capisce che non è uno scherzo. Tocca proprio a lui. Si alza dalla panchina accennando goffi gesti di riscaldamento, come ha visto fare in precedenza ai “colleghi”. Ma non c’è tempo, la lavagnetta luminosa indica il numero che ha sulle spalle, il 32, mentre la testa bionda di Foden, il ragazzo meraviglia della nazionale inglese, è già sfilata via senza un incoraggiamento, rosso di rabbia e incredulo per quello che sta accadendo.
Cavanaugh è in campo, a vivere il suo calvario. Il pubblico, dopo un iniziale, gelido applauso, lo dimostra chiaramente: non è dalla sua parte, non capisce la follia che ha sconvolto un allenatore solitamente serio e misurato come Southgate, una sorta di cupio dissolvi che trascinerà l’Inghilterra tutta non solo nel baratro della sconfitta più dolorosa, ma in un abisso di vergogna che durerà per decenni.
I tedeschi sino troppo concentrati sulla vittoria, che al 91° è cosa fatta, per degnare il grottesco numero 32 di attenzione. D’altra parte Emile si muove per il campo a passetti incerti, come una vecchia cinquecento capitata nel mezzo di un Gran Premio di formula uno.
E’ il 93°, i tedeschi cantano felici i loro inni di vittoria mentre le bandiere con la croce rossa in campo bianco sono già ammainate da un pezzo, quando Rashford imbrocca più dribbling in un’azione di quanti gliene siano riusciti nella partita intera. Entra in area, fronteggiato dal gigante Hummels, decide di non tirare in porta ed esegue un cross all’indietro, che spiazza la difesa tedesca ma anche gli attaccanti inglesi.
La palla rotola verso Emile Cavanaugh, completamente libero, che la colpisce debolmente ma con precisione.
Dall’esterno dello stadio si avverte come un’esplosione improvvisa, un boato impressionante che scuote con un’onda d’urto irresistibile le casette di Londra in un raggio di molti chilometri.
L’Inghilterra, ancora una volta, è salva.