Sole cuore amore

La sveglia sul comodino suona tutte le mattine alle 4 e 30. Lavarsi, dare una carezza al piccolo che dorme nel lettino e un’occhiata alla stanza dei tre bimbi più grandi, bersi un caffè veloce, salutare Francesco e via di corsa a prendere il pullman. Nel giorno che è ancora notte con tutti che sonnecchiano con la testa reclinata sul sedile. Poi sempre di corsa verso il metro dove, sempre stordita, ti capita pure di saltare la fermata. E finalmente al bar con il padrone che ti guarda male per i minuti di ritardo e la collega extracomunitaria che è già lì a preparare cappuccini e a sfornare brioches ai clienti.
Tutte le mattine del mondo va così per Eli, pure la domenica. Due ore a andare due ore a tornare. A Roma e da Roma. Ma, nonostante lo sfinimento e la fatica, le preoccupazioni economiche per il marito disoccupato e i quattro figli da tirar su, Eli è un cuor contento. Ad aiutarla coi bambini c’è Vale, la sua vicina, che fa la performer nei dancing della capitale. Si incontrano al buio, Eli che parte e Vale che torna.
Daniele Vicari, regista da tempo attento al sociale (suo il “Diaz” che ripercorre i terribili fatti del G8 di Genova), mette in scena una storia realistica, tratta da una vicenda realmente accaduta. Racconta l’affanno di una generazione, quella dei trenta-quarantenni, a barcamenarsi con la mancanza di lavoro, con certe forme di sfruttamento, con un welfare inesistente. Il titolo spensierato Sole cuore amore, che riprende il refrain di un tormentone del 2001 (Dammi tre parole di Valeria Rossi), è volutamente in contrasto con l’intensità e lo spessore del film.
Isabella Ragonese che ad ogni interpretazione aggiunge un tassello alla sua bravura (era la scoppiettante Mia nel “Padre d’Italia”), impersona Eli, madre, moglie, amica, lavoratrice instancabile. Intenso anche il personaggio di Vale (Eva Grieco), una ragazza che ha rifiutato la comodità di una vita borghese per ricercare, tra mille difficoltà e incertezze, la sua libertà d’espressione.
Nella locandina del film, quasi tutto girato di notte, spicca il cappottino rosso di Eli. Lei, girata di spalle, le mani infilate in tasca, che cammina nella stazione deserta del metro di Roma. La bambina di “Schindler’s List” cresciuta. Il mondo intorno a Eli è migliore, anche se “la banalità del male” è sempre lì. Muta la pelle e il contesto in cui agire, ma è lì in agguato.

Dammi tre parole, sole cuore amore – recita la canzone. Anche se spesso, come nel caso di questo film bello e straziante, la difficoltà sta proprio nel trovare le parole per raccontarlo.

Sole cuore amore di Daniele Vicari (Italia 2016)

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