Solo per i tuoi occhi

 

«Io mi vesto solo per me stessa».
«Non tollero che un uomo sindachi le scelte del mio guardaroba».
Oppure: «Beata te, che puoi portare quei bei pantalonacci. Non sai il mio Antonio, quando me li ha visti addosso mi ha intimato di buttarli, perché si vergognava di uscire con la brutta copia di una ballerina da avanspettacolo».
Come sempre, estremizziamo: se è presuntuoso e stupidamente provocatorio l’atteggiamento della perseguitata dalla moda, che fa suo qualunque travestimento o pervestimento, così è cippettone e scioccamente spersonalizzato il copione di quella che sacrifica all’altare del suo uomo gusto e personalità.
È giusto che una donna impari ad amarsi, a conoscersi, a non conciarsi e a tener presente che nel percorso della seduzione anche il modo di vestire ha il suo peso.
Quanto ai gusti degli uomini, niente di male se uno predilige la bambolina, l’altro perde la testa per il puttanone; nessuno stupore se a qualcuno piace la ragioniera, a qualcun altro la moschettiera e un altro ancora cade in deliquio davanti alla capellona procace. È fuor di dubbio, invece, che esiste un minimo denominatore comune nell’idiosincrasia maschile verso parecchie fogge, molti accessori, tanti indumenti di uso quotidiano delle signore.
E allora elenchiamoli.
La bestia nera è il collant. Hai voglia a dire: «Guarda che è comodo… Nero a rete è molto sexy… Guarda che allunga la figura e si toglie in un secondo come un paio di calze».
La risposta è perentoria: «Per carità, è un dannato diaframma che ingurgita la coscia, spiattisce le natiche, insabbia l’ombelico!».
Restiamo in tema di intimo e un niet deciso se lo becca la mutanda ascellare, seguita a ruota dai reggiseni tristi di cotone e da guaine e guainette, tutti pezzi giudicati la morte del sesso. È tollerata, con nausea, la canottiera, e ritenuto insopportabile il gambaletto trasparente.
Emergiamo in superficie e le bestie nere aumentano. La palma dell’indumento no va alla sottana stramiciona, sia lunga a terra, di genere zingaresco, sia cortissima, di camoscio, con le frange alla Pocahontas.
Un ottimo piazzamento nella lista nera degli errori/orrori ce l’hanno le spalle imbottite, giudicate innaturali, proterve e senza grazia, perché costringono a un portamento da Regina Margherita che non ha nulla di sensuale.
Continuiamo sulla via della smorfia davanti al tacco raso terra: tollerato nelle infradito e nelle ballerine, esecrato nella francesina stringata e accollata. Come facciano ad amare platform e tacco dodici resta un mistero insondabile.
Esistono poi, fra gli uomini, predilezioni generazionali che riguardano il make-up: dai quaranta in giù trovano mostruosi fondotinta e fard, ombretti turchesi, viola mirtillo o iridescenti. Sopportano lucida-labbra e mascara, adorano le facce dall’aria lavata anche se non lo sono, hanno un penchant per i profumi leggeri, secchi, che sanno di fresco.
Dai cinquanta/sessanta in su, cambia la musica. Piacciono le bocche rosse, l’incarnato pallido e vellutato, il pomello rosato e l’occhio maliardo truccato con dovizia. Provano un brivido al sentor di tuberosa e gelsomino, e conservano il mito del capello lungo non disdegnando la tintura, meglio se bionda o rosso henné.
Morale: torna di moda, anzi è sempre di moda, quella filastrocca che recitavano nei salotti romani gli invitati ai grandi parties anni ’60 e che suonava così: «Specchio, specchio cortese/fa che non faccia ridere il paese./Riflettimi come sono tale e quale/senza nascondere quel che ho di male./Non farmi scegliere la grande mantella/se ho spalle larghe e faccia a frittella./Se non ho collo né gambe, orror, non devo prendere questo bel Dior./Chi ha un bel visetto da babbuino/non orli di scimmia il suo giacchettino./Se sono alta come una gru/al mio cappello pensaci tu».

 

 

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