SPATRIATI

Claudia e Francesco sono amici, più che amici, fin da ragazzi: qualcosa li lega, non solo le strane angolazioni tra i loro genitori – che anzi dovrebbero allontanarli – li lega un filo resistente al passare degli anni e alle loro trasformazioni. La quinta degli inizi è Martina Franca, comune della Murgia pugliese, i suoi ritmi pigri e convenzionali ai quali entrambi, ciascuno a suo modo, cercano di sottrarsi: Claudia, rossa di pelo, alta e sottile, si veste da maschio ed è ribelle a qualsiasi imposizione; Francesco, scuro come un grappolo di uva nera, si nasconde dietro l’immagine dell’amica, annaspando alla ricerca del proprio io. Il loro è un sentimento complesso, più forte dell’amore, una forma di dipendenza al limite del parossismo – soprattutto per Francesco che non riesce a stare al passo con le esplosioni caratteriali di Claudia, chiuso com’è nel bozzolo di un’esistenza prevedibile, accesa solo da una religiosità ondivaga e tribale. Quando l’amica si trasferisce a Milano e poi all’estero (ultima meta Berlino), lui spia le sue tracce attraverso il filo del telefono, tormentato dalla lontananza, geloso delle sue nuove conoscenze ed esperienze, eppure restio a raggiungerla.
Un romanzo singolare quello di Mario Desiati, classe ’77, in cui lo scrittore, poeta, sceneggiatore pugliese, mescola la propria la vita con quella dei due protagonisti: anche lui un expat, uno dei tanti “Spatriati” che cercano non solo fortuna ma soprattutto un sé stesso diverso altrove. Un racconto liquido, a volte lirico (il libro è punteggiato da brani poetici), a volte scabroso, è il ritratto di una generazione in affanno – quella dei quarantenni – che scappa dalla propria famiglia e dalle proprie radici, tranne tornarci, come nel caso di Francesco, se costretta. Magari a prendersi cura degli ulivi devastati dalla Xylella nel podere abbandonato dei nonni e, insieme, a ricomporre le schegge impazzite della propria esistenza.
Spatriati” di Mario Desiati – Einaudi 2021

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