Ci sono mattine così bianche, in questa parte di mondo, che la terra ha lo stesso colore delle nuvole. Siamo a Igarka, sopra il circolo polare artico, a nord di tutto. Cinquantadue gradi sottozero, ma non fa poi così freddo. Il vantaggio di vivere a queste latitudini è che d’inverno si aprono strade immense sui fiumi ghiacciati, lo Jenisej diventa una corsia a scorrimento veloce e scivoloso che ci conduce in un battibaleno all’aeroporto. Andiamo a Krasnojarsk dalla suocera: una felicità che non vi sto a dire. La mia gentile consorte in gravidanza vuole trascorrere l’ultimo mese prima del parto dalla madre. Speriamo che non parta quest’aereo, speriamo che mi lasci qui. Saliamo sul vecchio Tupolev, mia moglie sorride, io pure. Ma dopo sospiro così forte che si crea una nebbiolina densa in tutto l’aereo. Fa’ che non parta. Dieci minuti, mezz’ora. Stai a vedere che non parte. Io sorrido, mia moglie pure. Ma dopo anche lei sospira così forte che si appannano gli occhiali di tutti i siberiani presenti. Esce il pilota. Fa troppo freddo, si sono congelati i liquidi dei freni. Non si parte più. Il mio sorriso adesso è radioso. Gli altri però sono arrabbiati, vorrebbero tornare a casa. Il pilota ci pensa un po’. L’unica cosa che potrebbe funzionare è spingere. Cosa? Spingere l’aereo. Fino a Krasnojarsk? Il pilota deve essere matto, ha scambiato il suo aereo per una vecchia Lada. I siberiani son gente dura, scendono tutti dall’aereo e si mettono a spingere le ali sulla pista. Mi fanno troppo ridere, prendo il mio smartphone e faccio un video. L’aereo si muove. Mia moglie ha una voglia così grande di tornare dalla madre che s’è messa a spingere pure lei. Spinga, signora, spinga. I siberiani sono così tosti che per loro spingere un aereo ghiacciato su una pista di rullaggio è come mangiare una fetta di torta. Il rumore di un motore che si avvia, sembra si parta. Risaliamo tutti sull’aereo, mia moglie batte le mani felice. Lei sorride, io no. Voglio un bicchiere di vodka signora hostess, anzi due.