Still Alice, la lotta per la dignità

Alice insegna linguistica alla Columbia University. È una donna dalla vita piena e interessante. La incontriamo per la prima volta in un ristorante newyorkese. Sta festeggiando il suo cinquantesimo compleanno con il marito e due dei tre figli, la più piccola, Kristen, vive lontana. La incontriamo per la prima volta perché alla fine è come se la conoscessimo da sempre: gli occhi allegri, il sorriso aperto, la figura aggraziata che cammina nel traffico o che corre per le strade di Manhattan. La sua casa, anzi le sue case, quella di città e quella sul mare, piene di ricordi, di foto, di tracce della sua esistenza e di quella dei suoi cari. Ricordare, conservare tracce del proprio passato. Per Alice, cui viene diagnosticata una forma di Alzheimer precoce, diventa la priorità, l’unico scopo di una vita che sta scivolando via, pian piano. Anche se all’inizio sono solo piccole défaillances: non ricordare il nome di qualcosa, qualcuno, perdere l’orientamento nei quartieri noti.

Ma Alice, donna informata, sa che il declino sarà inevitabile e che niente, né le cure dei medici, né l’affetto dei suoi, né la sua stessa tenacia potranno fermarlo. Lei, esperta di linguaggio, perde le parole; per tenersi allenata si segna quelle più difficili sulla lavagnetta in cucina; scrive e riscrive ogni mattina i nomi dei figli sul cellulare; ferma i suoi pensieri più intimi sul computer. Cui affida un video messaggio a se stessa, una sorta di testamento per quando non sarà più in grado di ritrovare, se stessa. “Still Alice” (Usa 2014 diretto da Richard Glatzer*, e Wash Westmoreland) è un film straordinario sulla malattia degenerativa che affligge milioni di persone. Julianne Moore, che ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista, interpreta Alice in modo discreto e misurato. Un film doloroso, senza vie d’uscita, che però non cede mai al pietismo e all’autocommiserazione. Preferirei avere un cancro – dice Alice – che combatte fino all’ultimo per conservare la sua dignità di essere umano. Ma dall’altra parte, molto più forte, c’è il morbo, che svuota giorno dopo giorno il suo pozzo di ricordi e anestetizza la capacità di amare. Anche la parola amore, che è scivolata via nella nebulosa insieme a tutto il resto, a volte, ascoltando la voce della figlia più giovane che legge per lei, a volte le rispunta sulle labbra, incerta e balbettata, forse senza senso, ma più forte, a noi pare, dell’oblio che l’ha inghiottita. “Still Alice” affronta un tema difficile e spinoso, molti di noi sono andati a vedere il film quasi di nascosto, da soli, con il timore di prendersi carico di tutta quella sofferenza. Invece ne siamo usciti commossi ma non sconvolti, abbiamo visto e ascoltato la storia di Alice, una storia bella e triste di quelle che capitano, in questo nostro mondo.

* Il co-regista Richard Glatzer, malato di Sla, è deceduto il 10 marzo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto