Storia dei Marii

Nella mia famiglia il nome Mario, quasi scomparso nelle anagrafi italiane ma presente a sorpresa in alcune straniere, dove evidentemente suona esotico come Kevin da noi, ha avuto e ha una certa importanza.
Il capostipite, che io sappia, è stato mio nonno. Nonno Mario non l’ho mai conosciuto, ma la sua figura di brillante ingegnere, biondo e bello, è rimasta parecchio impressa nel lato materno della famiglia: mia madre lo idolatrava, naturalmente, e ne parlava con occhi sognanti in cui si leggeva in filigrana il dolore di averlo perso nel pieno della maturità. Un grandissimo uomo, dicono un po’ tutti.
A Nonno Mario devono il nome diversi discendenti. Uno dei miei fratelli, e ben due miei cugini, uno dei quali diventato (nel consueto understatement familiare) addirittura ministro con Mario Monti.
Mio fratello è ingegnere pure lui. Anzi, è l’ingegnere per antonomasia: razionale, pignolo, rigoroso. Caustico, in genere, ma depositario di una dote preziosa, l’affidabilità assoluta. A lui ci si rivolge quando le cose si mettono male per qualche motivo, e, magari brontolando, risponde sempre presente.
Con l’avvento di un altro Mario, diventato il primo cognato della mia vita nel momento, ormai lontanissimo, del suo matrimonio con mia sorella, fu necessario trovare un escamotage per distinguere dialetticamente i due in modo rapido. Per mio fratello la soluzione arrivò in modo naturale, e per i decenni a venire si trasformò in Marionostro, sottolineando in tal modo l’appartenenza del soggetto alla dinastia.
Al Mario acquisito non restò che accettare un nome meno identitario ma certamente più estroso ed allegro.
In casa mia, come in tutte le case, si rompevano lavandini, rubinetti, lampadari. E diventavano indispensabili, per riparazioni di fortuna, attrezzi adatti a questo genere di operazioni, in genere maldestramente eseguite. Il giovane fidanzato di mia sorella si distinse, con l’entusiasmo proprio dei fidanzati vogliosi di fare bella figura, nel procurare l’utensile mancante, decisivo ma perennemente assente nella dotazione familiare.
Così, complice anche una certa assonanza nel cognome, il fidanzato Mario diventò sì negli anni alto magistrato, in toga ed ermellino, ma per noi restò e sempre rimane Mario delle Pinze.

 

[Giorgio Cavagnaro]

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