Decorò, paziente e felice, l’albero, vero e profumato di resina, con oggetti buffi e luminosi, acquistò costosi doni per tutti, li impacchettò coi fiocchetti, li fornì di etichette scritte di mano sua.
Imbandì una cena succulenta, con antipasto di insalata russa preparata da lei, maionese compresa, poi tortellini veri in brodo vero, aragosta alla catalana, e cappone ripieno di salsiccia e castagne come usava al suo paese. Infine panettone milanese con un ripieno da lei creato.
Ma sbagliò giorno – quindi restò sola, seduta sul divano, con il suo lavoro a maglia, ad aspettare le 14 persone che amava. Il citofono non suonò mai.
Era il 23. Si consolò raccontandosi che di certo aveva sbagliato i regali. E tutti si sarebbero arrabbiati con lei, aprendoli. Meglio così.
Infine, si sedette al computer, inforcò i grossi occhiali, e con mani tremule digitò questa favola.