Storia di Giorgio Bonafé e delle dieci sfere di Man Ray

… Quando Man Ray le vide, il suo volto si illuminò, era contento, felice. Sorrideva come un bambino, non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle 10 sfere.
Scusa Giorgio, ma come mai ti trovavi a Parigi a casa di Man Ray?
Una lunga storia. Tutto cominciò verso la fine degli anni ’60, quando la Mazzucchelli celluloide, azienda di Castiglione Olona leader mondiale nella produzione e distribuzione di materiale plastico, diede vita a un progetto artistico che prese il nome di “Polimero arte”, affidato al conte Ludovico Castiglioni, cugino del presidente Franco Mazzucchelli.
Tu eri un dipendente della Mazzucchelli?
Sì, lavoravo come modellista. Nel maggio del ’69 il conte Ludovico Castiglioni, all’epoca consulente per le pubbliche relazioni della Mazzucchelli, mi chiamò nel suo ufficio e mi comunicò che avremmo dovuto allestire un laboratorio in un capannone della ex scuola professionale. Portammo un vecchio tornio, una fresa, un trapano e qualche altra macchina utensile.
Niente di strano, in una grande ditta succedono spesso queste cose.
Invece fu un’idea geniale e l’inizio di una formidabile avventura. Ben presto quel piccolo laboratorio fu trasferito nella meravigliosa sede del Castello di Monteruzzo. In quelle sale, oltre a tutti gli attrezzi per la lavorazione della plastica, trovarono posto una foresteria per alloggiare gli artisti e uno spazio espositivo.
Gli artisti?
Proprio così. Perché il progetto consisteva nel mettere gratuitamente a disposizione degli artisti la materia prima, la consulenza tecnica, i macchinari affinché realizzassero le proprie opere. Il conte Ludovico era solito ripetere che “la plastica era il bicchierino da buttare, l’impermeabile delle turiste americane, la sorpresa che si trovava nell’uovo di cioccolata di cattiva qualità”. L’obiettivo del progetto era riqualificare e nobilitare “le materie plastiche”, scoprire e rendere note le sue proprietà estetiche.
E arrivarono gli artisti?
Non immagini quanti e che artisti!
Fammi dei nomi
Carla Accardi, Filippo Avalle, Enrico Baj, Giuliana Balice, Giacomo Balla, Elvio Becheroni, Valentina Berardinone, Gianni Colombo, Delima Medeiros, Camillian Demetrescu, Marcolino Gandini, Mario Guerini, Hsiao Chin, Fulvia Levi Bianchi, Anna Marchi che ha diretto il” Polimero arte” per tutta la sua durata, Giulia Napoleone, Edival Ramosa, Man Ray, Hilda Reich, Giovanni Santi Sircana, Tino Stefanoni, Guido Strazza, Kumi Sugai.
Te li ricordi tutti?
Come potrei dimenticare artisti così importanti. Era il conte a intrattenere i rapporti con loro, a invitarli. Era un appassionato collezionista.
Tu che ruolo svolgevi nel laboratorio?
Quando l’artista arrivava, lo accompagnavo in fabbrica, gli mostravo i diversi materiali prodotti dall’azienda, il Sicoglas, trasparente o colorato, il Rhodoid, il Sicodur e tutti gli altri che non ti sto a elencare, perché scegliessero quelli con cui intendevano realizzare la propria opera. Poi andavamo in laboratorio. Gli artisti mi mostravano i disegni, mi spiegavano nel dettaglio il progetto, mi davano tutte le indicazioni. A quel punto mi mettevo al lavoro. La realizzazione pratica dell’opera era compito mio, perché gli artisti non potevano mettere le mani su quei macchinari così pericolosi. Erano a fianco a me, controllavano tutto e, se qualcosa non li convinceva, si ricominciava daccapo. Erano tutti molto esigenti. Lavoravamo insieme anche per dieci ore di fila.
Anche Man Ray venne nel tuo laboratorio?
No. Nel 1969 il conte Ludovico mi portò una foto realizzata da Man Ray che gli era stata data dalla galleria Studio Marconi. La foto rappresentava l’opera che avrei dovuto materialmente realizzare, la “ boule sans neige”. In molti ci avevano provato, ma nessuno ci era riuscito.
Fu complicato?
Impiegai sei mesi di lavoro per realizzare le 10 sfere. La difficoltà consisteva non tanto nell’assemblare i singoli componenti all’interno della sfera come li aveva concepiti Man Ray (il disegno degli occhi, i cinque bastoncini in fenolica, la sabbia in ghiaia di marmo), ma nella polimerizzazione di due chilogrammi e mezza di resina: la sfera doveva essere trasparente e senza imperfezioni. Fu un lavoro molto complicato.
Alla fine ci riuscisti
Sì il risultato fu stupefacente. Quando insieme al conte Castiglioni andammo a Parigi per consegnarle a Man Ray in persona, la soddisfazione fu enorme. Man Ray sorrideva, continuava a girare intorno al tavolo dove le avevo disposte, le guardava da ogni angolazione… alla fine mi abbracciò.

Oggi Giorgio è cieco, ma se ti accompagna nelle sale del MAP (Museo arte plastica) si sofferma vicino a ciascuna opera, te la descrive perfettamente, soffermandosi a parlare anche dei colori e delle sfumature, ti parla dell’artista e del rapporto che ha avuto con lui. Incredibile come la memoria conservi dettagli che si pensa solo gli occhi possano restituire.

Boule nei colori originali
Boule nei colori originali

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