Supercalifuffa, non essere Mary Poppins

Se per una cena romantica, tête à tête, vis-à-vis, occhi-negli-occhi-e-mani-in-vista, mi inerpico per la salita del Staseracucinoio, c’è sempre una vocina rompina, dentro di me, che contesta, sovverte in dubbi gli slanci di creatività. La mia nemesi, il contraltare dei buoni propositi. Miss Pigra versus Mrs Buonavolontà. Accade che comincio imprese e a metà dell’opera pongo a me stessa la fatidica domanda: «Ma chi te lo ha fatto fare?».
Me lo domando appena la schiena comincia a invocare il divano, appena mi guardo intorno e la cucina sembra uno scenario di guerra. Me lo chiedo mentre lavo, asciugo, rimetto a posto tutti i tasselli/stoviglie nella mia puzzle/cucina formato scatola di scarpe. E la domanda si fa urlo interiore quando capisco che devo darmi un tono, appena avverto l’odor di mensa sui vestiti e vedo una strana luce riflettersi da chissadove e poi capisco che è il mio naso, lucido come un pomello d’ottone appena strofinato.
Ché non basta mica essere cuoche provette e moderne marypoppins? A una cena romantica ci si presenta bene, non con i capelli allo stato gassoso, che sanno di fritto e di quel certo-non-so-che noto come fattiunoshampoo. Alla tavola di una cena romantica non si portano le mani aromatizzate all’aglio, né le pantofole modello ospedale; men che meno quei comodi pantajazz grigio passoinosservata.
L’impresa non è cucinare, quello è anche divertente, ma ciò che sta intorno: tutti i chili di noia contro una manciata di gloria, durante la quale sorrido, eh, minimizzo, come se tutta l’opera erculinaria non fosse costata che un battito di ciglia; come una di quelle donne impeccabili dei film che, mentre fanno finta di cucinare, sorseggiano vino con assoluta nonchalance e zero grammi di stanchezza.
Semplice semplice, no?
Quasi come prendere quel dannato biglietto da visita, chiamare il ristorante e prenotare per due.

 

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