Tanta gente, Mariana

Otto racconti, brevi per lo più, tranne il primo che dà il nome alla raccolta. “Tanta gente, Mariana” è stato pubblicato da Maria Judite de Carvalho nel 1959, e subito oscurato dalla pesante dittatura di Salazar e dal perbenismo della Chiesa. Il Portogallo di quegli anni bui non poteva ammettere deroghe alla figura femminile che doveva essere piegata ai voleri del coniuge e ai valori della famiglia. La maggioranza delle donne si nascondeva dietro un paravento di buone maniere in cui ogni forma di indipendenza veniva annegata nell’ipocrisia del “così fan tutte”. Le protagoniste delle storie sono infatti quasi tutte donne, a parte qualche personaggio maschile, segnato anch’esso da fragilità e paura per il domani. Le elucubrazioni che le donne della Carvalho fanno tra sé e sé sono segnate dalla disperazione, dal senso di solitudine e di abbandono. In loro non c’è alcuna determinazione a voler andare avanti: il futuro è dietro le spalle, il presente un incubo da cui ci si sveglia solo con la fine della propria esistenza. Quando sciorinano le loro insicurezze, guardano nello specchio i capelli grigi, le rughe che segnano il viso, pensi a loro come a vecchie signore consumate dagli anni. E invece no, sono tutte trentenni, al più quarantenni – certamente come succedeva spesso allora, quando si metteva su famiglia ancora molto giovani – ma le rughe che le scavano sono quelle dell’animo, della quieta rassegnazione, anzi dell’anelito alla morte. La scrittura dell’autrice portoghese è curata, i rivoli di pensieri che si srotolano di pagina in pagina sono inquietanti ma quelle donne ci appartengono, sono diverse eppure simili a noi. Una sorellanza che non si può cancellare con uno sbuffo di impazienza. Mariana, la protagonista del primo racconto, siamo tutte noi. Merito dell’editore Sellerio aver pubblicato il libro e della giovane scrittrice Giulia Caminito (nota per il suo “L’Acqua del lago non è mai dolce” https://www.larivistaintelligente.it/lacqua-del-lago-non-e-mai-dolce/costanza-firrao/) per raccogliere il “filo” delle riflessioni.

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