Le ultime elezioni regionali di questa tornata, che hanno visto protagoniste l’Umbria e l’Emilia Romagna, ci consegnano riflessioni importanti per entrambi gli schieramenti, tanto quello vincente quanto quello, soprattutto, che ha perso.
In Umbria le opposizioni unite (parlare di coalizione mi pare quantomeno prematuro) hanno prevalso schierando la sindaca di Assisi, brava e moderata amministratrice che in precedenza aveva già strappato la propria città al centrodestra, mentre a perdere è stata la Presidente uscente, recentemente salita agli onori delle cronache per la questione fondi alle aziende che producono il tartufo. Almeno nel caso specifico, considerato il costo al dettaglio del prodotto, si è interrotta (almeno momentaneamente) la narrazione, tanto cara ai vari Meloni, Salvini e compagnia cantante, fino ad oggi efficace agli occhi degli elettori: quella della sinistra che vive nelle Ztl a caviale, champagne e, appunto, tartufi.
Ma più che l’ennesima inchiesta di Report, che come il famoso villaggio gallico di Asterix sopravvive in una Rai balcanizzata come non mai dal governo di turno, ad incidere sulla sconfitta del centrodestra, al netto ovviamente dei meriti degli avversari, è stato il patto col sindaco di Terni Bandecchi, figura nota per i suoi eccessi, verbali e fisici, spesso ben oltre la decenza. Qualcuno lo ha definito “Un Vannacci che non ce l’ha fatta”, personalmente non condivido: di Vannacci possono essere criticate, e non a torto a parere dello scrivente, le generalizzazioni superficiali e le espressioni tipiche di certa destra estrema, Bandecchi quelle idee prima ancora che riuscire ad esprimerle in senso compiuto le mette in pratica a modo suo a suon di insulti, sputi ed altre amenità simili. Giusto per non smentirsi, ha commentato così l’esito:” Se avessero candidato me, Proietti sarebbe a casa a lavare i piatti”.
Un simile personaggio è riuscito, numeri alla mano, ad apparire impresentabile agli occhi degli elettori, segno che forse, finalmente, il limite agli eccessi della socialcrazia in cui viviamo è stato raggiunto. E vogliamo credere che il centrodestra sappia farne tesoro, così come, dall’altro lato, non ci si limiti a festeggiare al grido di “il vento è cambiato”, se non altro perché in Sardegna soffia il maestrale, di intensità non indifferente ma che, tuttavia, non ha influito sulle successive sconfitte elettorali, dalla Liguria alla Basilicata.
“Uniti si vince”, dice Elly Schlein, ed ha ragione; resta da capire come compiere il salto di qualità da opposizione comune (ma non sempre compatta, vedi riforma giustizia o guerra in Ucraina) a coalizione stabile. Va detto infatti che, anche dove si è perso, il PD ha comunque mantenuto o accresciuto i suoi consensi mentre gli altri alleati, cinquestelle in primis, li hanno progressivamente persi sino quasi a scomparire.
Questa dicotomia, in positivo per il PD ma decisamente in negativo per gli altri, tra risultati reali, se pure locali, e sondaggi nazionali, rappresenta allo stesso tempo un’occasione ed un rischio: l’occasione, per i dem, di unire intorno a sé le altre forze in una opposizione che appaia coerente oggi e quindi convincente come coalizione di governo domani. Una tale impostazione potrebbe però apparire agli occhi degli alleati, vista anche la spocchia che caratterizza alcuni di loro, come il rischio di perdere le proprie peculiarità e identità (ammesso che ne abbiamo ancora qualcuna e non siano mero specchio dei propri leader) e, con esse, i consensi rimasti. Ai posteri, o meglio a Elly Schlein, l’ardua sentenza.
Ultimo elemento, ma primo per importanza: astensionismo tragico anche in Emilia Romagna, con un calo (o meglio dire crollo) di 21 punti in una regione da sempre riconosciuta come efficiente e ben governata. Attenzione: il crollo non riguarda solo le zone alluvionate, come si potrebbe immaginare, ma tutto il territorio. Ennesimo segnale, per tutti ma soprattutto per il PD, che la gente non crede più nella politica per come la socialcrazia ce la presenta ogni giorno e occorre un cambio di paradigma, nelle forme, nella comunicazione e soprattutto nel contatto con la paura e le insicurezze quotidiane dei cittadini. La sinistra deve sempre imparare ad accogliere simili paure prima che sminuirle o sublimarle con discorsi che solo chi ha un minimo di sicurezza economica ha il tempo di ascoltare e capire. Vinta l’Umbria, occorre mettere da parte i tartufi e i linguaggi aulici per gettarsi, pancia a terra e parlando “potabile”, nelle sofferenze e nelle paure degli italiani.
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