Teheran, un taxi gira per le strade cittadine fermandosi a richiesta. Sale e scende varia umanità: una donna che questiona con un giovane uomo arrogante sulla pena capitale; un ferito in un incidente stradale con la moglie che gli sorregge il capo insanguinato; due anziane signore con dei pesci rossi in una boccia; una ragazzina sveglia col velo in testa e lo zainetto in spalla; un venditore di DVD proibiti.
Un cellulare squilla in continuazione, è quello di Jafar, il tassista. Jafar risponde al telefono ma ascolta con discrezione anche le discussioni che si svolgono all’interno del veicolo, che è un piccolo universo a sé e dove le storie di ciascuno si confondono con quelle degli altri. Apparentemente liberi di dire e contraddire, i passeggeri e lo stesso Jafar hanno sempre vicino, sul sedile accanto, l’ombra minacciosa del regime, lo spirito autoritario, le regole ferree della Sharia.
Taxi Teheran è un piccolo gioiello del cinema iraniano. Orso d’oro a Berlino, è stato girato clandestinamente dallo stesso Jafar (Panahi), di professione regista, cui è stato vietato di scrivere sceneggiature e rilasciare interviste per vent’anni. Per lui e gli altri attori, che hanno recitato a proprio rischio e pericolo, è prevista la reclusione fino a sei anni.
Testimonianza asciutta e senza clamori di una realtà agghiacciante, in cui l’anelito alla libertà è più forte della costrizione.
Il mondo del cinema e della cultura si mobilita per la libertà di Jafar Panahi.
Taxi Teheran (di Jafar Panahi – Iran 2015)
P.S. A corredo della recensione, il punto di vista di Andreina Swich
Il film di Pahali è importante e va visto, sostenuto e consigliato. C’è una gentilezza di fondo nel raccontare sia aspetti leggeri che altri molto pesanti del suo paese e il regista lo fa sfidando il divieto impostogli e rischiando gravissime ripercussioni.
Il risultato non è eccelso a mio parere e lo spettatore perde coi tempi lenti anche un po’ il gusto di piccoli dettagli importanti.Il mio occhio come sempre si è soffermato però sulle figure femminili: donne molto diverse tra loro, che con le loro storie denunciano la loro condizione, tuttavia nessuna di loro appare debole o sottomessa. Persino la giovane sposa che rischia di perdere il suo status con la morte del marito dimostra determinazione, mentre divertenti e petulanti sono le due donne superstiziose, contrapposte alla intelligenza dell’insegnante e alla forza della avvocatessa combattiva. Figura di contorno la bambina, nipotina del regista, altrettanto fuori dai cliché: una bambina, femmina, saccente e un po’ antipatica ma che lo zio, col suo sorriso pacato e la sua ironia, sa prendere per il verso giusto, vedendo in lei, immagino io, una forte donna del futuro dell’Iran.
Andreina Swich