Tendo alla perfezione

 

Al mio risveglio stamattina, ho sentito le tempie pulsare, le labbra bieche, la cute tirare sull’occhio destro. Quella che adesso mi guarda di traverso nella Psiche è un’altra donna. E mi sembra di conoscerla. Ha un occhio su una guancia e l’altro sopra il naso. Un vestito rosso rubino e un cappello blu. Dimmi, donna sottinsu, chi sei tu?
Ecco, ti riconosco, la piega malinconica all’angolo della bocca anche se sbieca, conserva l’impronta insoddisfatta. Tendevo alla perfezione. Consideravo valore la bellezza. Tendevo alla perfezione. Perché ero un essere umano con un vizio divino, un teorema di vanità, una fiamma perfettibile all’infinito. Volevo essere immortale, opera d’arte vivente, glorificata come una Gioconda, per questo tendevo alla perfezione. Ossessivamente tendevo a questo fine, aghi e bisturi i pennelli.
Mi dicevano la bellezza da sola non può niente, è effimera e illusoria, è grazia solo quando è inconsapevole. Ma io credevo in lei, magnete universale. E nella sua salvezza. Un prodigio era già accaduto. Dopo l’ultimo intervento non avevo più età. Era annullata ogni vetustà. E non era bellezza estorta, né surrogato di perfezione che si dice non umano. Tendevo alla perfezione.
Ora che è passato, l’ho appreso.
Qui è tutto teso.
O forse solo reso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto