La quarta serie di “The Crown” sbarca su Netflix. Gli anni ’80 sono i protagonisti delle 10 puntate andate in onda: anni terribili in cui la classe operaia inglese viene annientata dalle politiche liberiste di Margareth Thatcher. Prima donna primo ministro nella storia britannica la Lady di Ferro – interpretata da una magistrale Gillian Anderson – è odiosa al punto giusto: sprezzante e autoritaria, indifferente alle privazioni cui sottopone il paese, controllata e gelida nei confronti di chiunque, fatta eccezione per il marito Denis, cui prepara personalmente deliziosi manicaretti e per Mark, il figlio preferito a scapito della trascurata gemella. Il conflitto misurato che la oppone anche a Elisabetta, viene gestito a fatica dalla Regina, contraria alle misure draconiane del Ministro in campo economico e, successivamente, alla gestione delle isole Falkland e del Commonwealth. Insieme alla Thatcher (eletta nel 1979 e dimissionaria nel 1990 a causa di una rivolta nel suo stesso partito) c’è l’entrata in famiglia di Diana Spencer, cui presta il suo volto la giovane Emma Corrin. A parte l’incredibile somiglianza con la futura principessa, la Corrin riesce a cogliere tutte le sfumature dell’Icona Diana, da quelle più immediate e amate dal pubblico – la freschezza, l’eleganza finalmente non austera degli abiti e della postura, la simpatia che suscita in patria e all’estero – insieme ai tratti più oscuri e poco conosciuti – la bulimia, l’infelicità di coppia, la gelosia che nutre nei confronti di Camilla Parker-Bowles, eterna e vincente rivale. Introdotta a corte prima del matrimonio per renderla edotta su regole e etichette, la ragazzina spensierata si ritrova sola e emarginata da tutti. A cominciare da Carlo, figura fragile e insicura, già ingobbito a 30 anni dal peso della sua inconsistenza, passando per Anna, la legnosa cognata e per la Regina, inizialmente conquistata dalla giovane nuora, poi sempre più severa e distante. L’unico che fa un tentativo per avvicinarsi a lei, è proprio Filippo (il bravissimo Tobias Menzies) che per una volta riesce a mettere da parte il suo cinismo. Ma, come sappiamo, gli sforzi per tenere insieme la coppia, nonostante la nascita dei due principini, fallisce e il rapporto tra i due si fa sempre più burrascoso. La sceneggiatura di Peter Morgan nell’inquadrare i personaggi non è mai didascalica e tanto meno scivola in una seppur raffinata soap opera: tutto è misurato, con esplosioni di colore e sfrenatezza come il balletto che Diana dedica al consorte. Non è un mistero che la stagione sia stata accolta con freddezza in Inghilterra, addirittura con rabbia dalla Royal Family. Il ritratto è impietoso: una famiglia snob e disfunzionale, in cui ciascuno è concentrato su se stesso e sui propri personali interessi e segreti. Anche The Queen nega l’aiuto che Diana disperatamente le rivolge – ora non ho tempo di parlarti, devo dar da mangiare ai cani. Cani e cavalli amati più di figli e nipoti e, nel contempo, animali da abbattere per diletto nelle battute di caccia.
Olivia Colman è, con l’avanzare degli anni, sempre più appesantita nel fisico: una regina che nulla sembra scalfire, e le emozioni che pure prova vengono sapientemente occultate dietro una maschera di contegnoso riserbo. Ciò nonostante resta la migliore del clan, anche se osservando la sua versione cinematografica non si può dimenticare la dimensione reale (in tutti i sensi) di una regina ultra novantenne ancora in carica.
Le musiche, sapientemente scelte tra classico e moderno, da Verdi a Elton John, da Bach ai Duran Duran, fanno da cornice sonora alle scene più significative della serie. Rimaniamo in attesa della quinta e ultima stagione. God save the Queen.
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