The Iron Lady, La signora di ferro

Un film senza nè capo nè coda, immerso in una nebbia pesante e infendibile dall’inizio alla fine. Quando una visione impatta così disastrosamente non bisognerebbe porsi molte domande ma cercare di dimenticare in fretta.
La regista Phyllida Lloyd (Mamma mia!) voleva imitare il Divo di Sorrentino? Creare la storia “a finestre” della donna di potere che, anziana, si trova alle prese con se stessa e con i propri fantasmi, rievocando in modo farraginoso ma suggestivo il proprio passato? Se sì, perché ha invece creato una ghost story con il defunto marito Denis che aleggia fra le porcellane, le tappezzerie e gli stucchi di una bigia casa londinese, proponendo con voce suadente bacon and eggs e/o un filmino sui gemelli quando erano piccoli riversato in dvd dall’omologa pellicola anni Sessanta? Una sonata di fantasmi patetica e deliquiante che non ha nemmeno il pregio di restituire alle problematiche della terza età quella dimensione profonda che meriterebbero.
Anche come indagine biografica il film non funziona. Maggie appare come una macchina da guerra ferrigna, pura maschera di Meryl Streep. Il personaggio rappresentato è del tutto secondario rispetto all’attrice che lo rappresenta. Il fattore-Streep ha funzionato perfettamente e ha dato esiti favolosi con Miranda de Il diavolo veste Prada, il cui ciuffo bianco è diventato emblema della donna di potere (vedi l’emulazione che ne fa Christine Lagarde dell’Fmi), è diventato meno interessante ne La cuoca francese e si è spento definitivamente con Meryl Thatcher. Speriamo che questa grande attrice sappia uscire presto fuori dal tunnel.
Tornando al film: dovrebbe esserci un limite al programma di semplificazione storica e umana che il cinema di cassetta prova ad attuare nelle sue ricostruzioni d’epoca. In The Iron Lady questo limite non esiste e troppo spesso ci si trova invischiati in un polpettone caricaturale. I laburisti cattivi, difensori del Welfare, dai ciuffi bianchi mal pettinati e senza hair stylist, sono caricature degne di “Libero” . Fanno anche intuire la coda di paglia di chi ha concepito cotanto capolavoro. Lo scopo di rilanciare l’immagine di un neoliberismo spietato, che salva le nazioni, fallisce comunque in un film che muove a compassione verso i suoi creatori, anche se non sono certa che tanta compassione sia da essi ricambiata nei confronti dello spettatore pagante.
L’unica parte decente è paradossalmente il momento della guerra all’Argentina dei generali fascisti. La campagna delle Falkland vede Maggie nel ruolo di una novella Churchill, che si impone anche sulla pavidità americana e porta a termine una campagna vittoriosa fra mappe, fregate e bandierine. “Quella donna ha le palle.” viene da dire alle meno politically correct. Mormorio in sala. God save the Queen.

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