Non mi sembra giusto che a Cannes una parte della critica abbia fischiato durante la proiezione di The tree of life, disturbando il resto del pubblico in piena fase Rem.
Per fortuna la giuria del festival ha risarcito il regista Terrence Malick con la Palma d’Oro. Tante le immagini bellissime che riempiono questo poderoso filmone, anche se già viste a Discovery Channel. Andando sul sito di Hubble Telescope si possono facilmente scaricare e utilizzare come screensaver. Un enorme albero frondoso visto da sotto, The tree of life che dà il titolo al film, viene mostrato almeno dodici volte e non ci si stanca mai di ammirarlo fra gli sbadigli. Fin dall’inizio il film induce a profonde riflessioni metafisiche: una bambina bionda è in estasi in mezzo ai fiori e alle farfalle perché le suore le hanno insegnato il concetto di “grazia”, mentre le suore del collegio dove sono andata io mi hanno insegnato il concetto: “sposa un uomo ricco”, senza specificare se religioso. Questa è la grande differenza fra la Santa romana chiesa e quella americana, molto più fervente, sebbene sia bastato il concerto di Woodstock a guastarla. Gli attori sono bravissimi. Sean Penn è sempre molto corrucciato, perché gli tocca ricordare tutto il film, un flash-back un po’ incasinato, il cui tema principale è la morte del suo fratellino biondo, al quale il padre Brad Pitt voleva più bene perché sapeva suonare la chitarra. Brad meritava un premio per lo sforzo di sembrare brutto, sporgendo il mento in fuori, anche se a tratti rispunta il figaccione che si è acchiappato Angelina. Putroppo è poco credibile quando suona il piano meglio di Benedetti Michelangeli. Va detto che la parte di Brad e della bellissima rossa che lo ha incautamente sposato è la migliore del film, proprio perché sembra un film. Happy end sul bagnasciuga, che sarebbe il paradiso, dove tutti si abbracciano, prima di andare a prendere un gelato, come ha fatto tutto il pubblico in sala che ha tirato un sospiro di sollievo quando finalmente il film è finito. (CRITICA Linda Brunetta)
Film pretenzioso, similkubrickiano senza il mistero dell’assoluto e del sacro, ottusamente religioso e non mistico. E quella dichiarazione di intenti sulla grazia, scelta al posto di una natura cattiva e leopardiana , attribuita alla madre, mi ha ricordato il peggior sacrificio femminile di larsianavontrieriana memoria. sono uscita scuotendo la testa. l’albero della vita è l’ulivo che brilla davanti casa (CRITICA Valeria Viganò)