In fondo alla tazza dove bevo
alla strada di casa, alla coda
di un sogno, improvviso
uno squarcio e il diaframma
nero invisibile scatta aperto
e con un tonfo
cade sul mio cuore.
E io vedo, vedo
le linee di un viso
di crudele bellezza
che avanza ancora buio
esitante verso di me
nella luce dolente,
lungo il filo di amore
teso sull’abisso
della dimenticanza.
Sei tu, che dalla soglia
del Non Essere, del tuo
impossibile
Non Esserci Più,
tenti una proibita carezza,
forse una parola
– la tua mano nervosa,
la tua voce profonda! –
ma il vento immobile
dell’inesistenza subito
le disperde.
Tu, nella luce d’ombra
che ci unisce e separa
cerchi con lo sguardo
smarrito qualcosa, qualcuno.
Solo un attimo –
clac clac – e non più.
Ma tu torna, papà,
risali dal tuo Aldilà,
dall’Ade che è in me,
al centro di me.
Torna sempre
a trafiggermi così,
nel mio transito
nell’Aldiqua.