Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Missouri, America rurale e profonda, stato in cui non sono bastati 200 anni per superare le discriminazioni razziali e dove, ancor oggi, omofobia e disprezzo verso i diritti delle minoranze vanno per la maggiore. Mildred, donna matura e col cuore spezzato da una terribile vicenda famigliare, decide di commissionare l’affissione di tre grandi manifesti, le cui scritte nere spiccano su sfondo rosso, in una strada secondaria del suo paesino. Le denunce di Mildred, di questo si tratta, provocano immediate reazioni nella piccola comunità, dove tutti si conoscono e dove dissidi e rancori si sono accumulati nel tempo. Il regista inglese Martin McDonagh sembra aver mutuato dai fratelli Coen il suo ultimo lavoro (ricordiamo il precedente 7 psicopatici – 2012), in cui il politicamente scorretto, il paradosso, l’umorismo macabro, il linguaggio scurrile sono la cifra stilistica. E non solo, visto che la protagonista, la rissosa e intrattabile Mildred, è interpretata da Frances McDormand moglie di Joel Coen e attrice di spicco di quasi tutti i film diretti dai due fratelli statunitensi.
La storia di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è in apparenza senza speranza: odio reciproco, ingiustizia sociale, sete di vendetta, poliziotti corrotti e violenti che hanno in spregio la legge che dovrebbero far rispettare. Ma la pulp fiction di McDonagh riserva esiti inattesi: il superamento dell’odio e della rabbia, proprio da parte di chi li ha alimentati. Oltre alla recitazione superba della McDormand, da segnalare Woody Harrelson (già interprete in Non è un paese per vecchi dei Coen) nel ruolo dello sceriffo dall’animo sensibile e Sam Rockwell in quello del perfido e ottuso cop dal manganello facile. Una sorpresa per gli amanti di Le cronache di Narnia e del Trono di spade l’apparizione sempre brillante di Peter Dinklage. Già premiato al Festival di Venezia e vincitore di 4 Golden Globes, Tre manifesti è in odore di Oscar e per chi scrive ne meriterebbe parecchi.
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P.S. Piccolo corollario di Giovanna Nuvoletti:
“Sono uscita dal cinema perplessa. Mi mancava qualcosa. Alta qualità, splendida fotografia, grande recitazione, sì, ma cosa voleva comunicare? Non mi è arrivato nulla. Frances era Olive Kitteridge, sembrava copiasse se stessa. Black comedy? Le battute erano strepitose, davvero, ho riso tanto. Ma come c’entravano con una ragazzina violentata mentre moriva? Io mica la dimenticavo, mentre ridevo. Tanti colpi di scena, anche assurdi, si susseguivano. Le lettere dello sceriffo buono mi sono parse tutta retorica – intendevano forse essere ironiche? E il finale, a coda di pesce. Come mai non ho capito nulla del film che piace a tutti? Scema non sono, anzi, ho un QI altissimo. Forse dipenderà dal mio essere leggermente autistica”.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri – regia di Martin McDonagh – USA/Gran Bretagna 2017

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