30 dicembre 1966 ore 20. L’odore lo sente già dal pianerottolo – capisce perché nessuno ha risposto al telefono. Non tocca né il campanello né l’interruttore. Entra in cucina, il gas è aperto e sibila. Alla luce che viene dal cortile la vede distesa accanto al forno nero e spalancato. La prende per un polso. E’ morbida. La trascina in corridoio ma deve per forza respirare, quindi lascia il braccio, corre sul pianerottolo, inspira, poi torna, riprende il movimento, per due, tre, un milione di volte. Finché non ha finito di trascinare il corpo, finché non ne vede il volto sotto la gialla lampadina delle scale. Si toglie il cappotto, la copre.
15 aprile 1967. E’ seduta davanti allo specchio. Si pettina. Ora, distrattamente, pensa a sua madre, al gesto, a una vita intera perduta: a lei, proprio a lei. Non a se stessa nell’inferno di ghiaccio in cui è rinchiusa. All’improvviso scoppia a piangere. La prima volta, dal 30 dicembre scorso.
Come scongelata, si scioglie in lacrime. Il dolore le sembra bellissimo.
10 agosto 1968. È sullo scivolo dei giochi, in montagna, col figlio di 3 mesi. Il figlio di 4 anni e mezzo è di fronte a lei, la guarda dal basso sorridendo. I muscoli del viso le si tirano, le fanno quasi male, si sente strana. E’ un movimento che non percepiva da tempo – ecco, sta sorridendo, anche lei come il suo bambino, come una bambina. E’ la prima volta, dopo il 30 dicembre 1966.