Trilogia della Mamma

Non fare tardi! Glielo grido dietro mentre Giovanni è già sul pianerottolo. È cresciuto di colpo, mi sento spiazzata da questo metroeottanta di figlio che quando ride sembra un orso che raglia. Non ragliano gli orsi? Mio figlio si. Ho un marito che non c’è mai, una sorella che è un massacro, due cognate che mi odiano e sono qui nonostante. Giulia l’altro giorno mi ha detto che vuole studiare a Parigi. A tredicianni. Figurati quando ne avrà diciotto. Lo sapevo, quando mi sono sposata, che volevo bambini. Riccardo già al secondo era frollato, quando poi sono arrivati i gemelli è collassato del tutto. Credo abbia inventato lui il tempopienoprolungatocompresifestivi. Se ci penso praticamente non ho dormito per anni. E adesso che sono grandi non dormo lo stesso. Forse le mamme non dormono mai. Francesca ha quindici anni, e quando la guardo vedo mia madre, ma pure nonna. Ha gli stessi occhi sognanti… spero che la vita non le faccia troppo male. Ma Edo è quello che mi somiglia di più, sempre disponibile aiuta, spiccia, si preoccupa… è Il gemello diverso, come lo chiama Giulia. Sei come la mamma! gli grida quando si arrabbia. Come la mamma.. Ma come la mamma c’è solo la mamma, Regina della Casa, Imperatrice del Caos, Principessa dei Portatori di Pace, Santa protettrice dai Disastri… ma pure Commendatore al merito della Lasagna Domenicale. E ho detto tutto, signora mia.

Faccio sempre più fatica a salirle, queste scale. Sono le stesse che salivo di corsa da bambina, ridendo. Da bambina. Quando ero figlia. C’era ancora Tino, si nascondeva per farmi paura dietro la consolle del pianerottolo. Adesso mi sembra sempre tutto buio, come se il sole non entrasse più, come se non trovasse più lo spazio e le persone. L’odore della minestra mi nausea, mi ricordo come profumavano le minestre di nonna, ci facevano correre affamati in tavola… LAVATEVI! era l’imperativo categorico di papà, NON SIATE SELVAGGI!. Sei sempre più magra, e più pallida. Tatiana mi dice la tua nottata, la tua giornata, il tuo mangiare, il tuo stare. Ascolto come una litania, ti prendo la mano, ti parlo ma non senti, non vedi più, a tratti capisci, e allora piangi. Chiami MAMMA, tu che sei stata mia mamma, tu che adesso son diventata io, tua mamma.

Mi telefoneranno i ragazzi, come ogni anno. Come ogni Festa della Mamma. Ma il mio ricordo è sempre qui, un fil di ferro piantato nel cuore. Mi disse Allora, signorina, abbiamo deciso di non diventare mamma, eh? Prima vi fate scopare e poi tutte a rimediare da me… C’erano certi abat-jour, nello studio di quel medico. Pensa te, mi ricordo ancora gli abat-jour. E poi. ERANO DUE, mi disse. Perché me lo ha detto. Non so. Non lo so. Enrico ed io non ci siamo parlati per giorni, dopo. POI. Poi sono venuti il matrimonio, i figli. I nostri figli. Ma sono rimasti gli altri, QUEI DUE rimasti un segreto tra noi, per tutti questi anni. Ho fatto calcoli impossibili per assegnargli un compleanno, per trovare un senso, un conforto, una soluzione. Ho guardato i miei figli vivi imputandogli ogni giorno la mia colpa, e il mio dolore. Mi telefoneranno, oggi. Mi faranno gli auguri. Auguri, mi diranno. Auguri, MAMMA.

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