Turturro a Ischia

Lo sfondo è affascinante, tipico dei giorni di un’estate appena cominciata. Siamo a Ischia in occasione dell’Ischia Film Festival, giunto alla XV edizione. La kermesse cinematografica è ideata e organizzata da Michelangelo Messina, inventore peraltro del neologismo «cineturismo». Assieme a lui, altro pilastro dell’IFF, Boris Sollazzo. Fa caldo. Dalla spiaggia arriva il vociare di turisti e bagnanti che approfittano per un tuffo nel mare dal forte potere attrattivo.
Siamo alla conferenza stampa del regista, attore e sceneggiatore italo americano John Turturro. I giornalisti, armati di taccuino e ipad, sono pronti a carpire qualsiasi informazione che John è ben lieto di lasciarsi sfuggire. È ospite dell’ampio calendario che comprende pure proiezioni nello scenario del Castello Aragonese di Ischia Ponte. Gli eventi andranno avanti tutte le sere fino al 1° luglio.
Il panorama che si apre dalla terrazza dell’hotel è rinfrescato dalla brezza marina. Il fiato si rischia di perderlo non solo per il caldo o per la vista, ma soprattutto per l’istrionico John. È qui per ricevere un premio. Si tratta del IQOS Innovation Award, il riconoscimento alla carriera da parte dell’Ischia Film Festival. Il patron M. Messina è volato fin negli States, il 26 dicembre scorso, per bussare alla porta di Turturro. «Ho un premio e un invito per te», ha esordito e John ha accettato.
«Non ero mai stato a Ischia», ha detto. «Sono felice di essere qui. Sono stato a Napoli, ho visitato Capri e Procida ma qui mai». Sta pensando di girare un film ambientato sull’isola verde dopo aver confessato di essere contento delle esperienze con Francesco Rosi, Nanni Moretti, del film Passione e di quelli con i Fratelli Coen e Spike Lee: «se dovessi fare un film qui, penso che mi trasferirei e cercherei di capire e imparare, esplorare, con umiltà e curiosità, per restituire la giusta immagine del luogo».
Dopo Ken Adam, Vittorio Storaro, Abel Ferrara, Amos Gitai, Margarethe Von Trotta, Giuliano Montaldo, Pupi Avati e Pasquale Squitieri adesso è il turno di Turturro. John – che ha fatto Transformers perché «in questo modo posso permettermi di mantenere la mia famiglia e i vizi» – ha una passione per la Campania e Napoli, di cui conosce poco ma è affascinato dalla sua creatività; e da De Filippo
«Ho un’ammirazione particolare per De Filippo. Qualche tempo fa ho lavorato all’adattamento di “Questi Fantasmi” ma altre cose avevano la priorità. Mi piacerebbe rivisitare quella storia e tornare a lavorarci su. Credo sia interessante l’universalità di quell’opera. Parla di persone che non hanno abbastanza, c’è qualcosa di bello e universale in questo racconto e nel suo modo di scrivere».
Le domande si alternano. Qualcuno gli chiede del suo personaggio Jesus Quintana: «Il personaggio nasce da un’opera teatrale che era piaciuta ai due fratelli Coen. Io adesso ne ho acquistato i diritti ed è stato molto difficile. Il film non avrà niente a che vedere con Il Grande Lebowski tranne la presenza delle palle da bowling. Il riferimento è a un vecchio film di un regista francese, Bertrand Blier, con Gérard Depardieu e Jeanne Moreau. Ho amato questa storia e mi sono ispirato al libro e al film. La storia è sempre la stessa, vale a dire ci sono uomini che non riusciranno mai a capire quello che c’è nella testa delle donne. Il film potrebbe arrivare a Toronto e poi a Venezia. Nel film ci sarò io, Bobby Cannavale, Ausdrey Tautou, Sonia Braga, Susan Sarandon e Christopher Walken in una piccola parte».
C’è chi approfitta per chiedergli di Trump e della sua posizione politica: «Trump è il risultato di molte cose e fattori diversi nel nostro Paese. Una di queste è che ci sono persone che hanno sofferto per la crisi economica, poi c’è il potere dei reality, senza di loro lui non sarebbe stato Presidente; e credo che voi italiani capiate cosa vuol dire. Forse esiste una correlazione con la nostra situazione e il vostro ex leader, con il fatto che entrambi siano stati uomini di ‘spettacolo’».
Poi una domanda sulla cultura nella quale «si può raggiungere un livello di universalità ampio. Si può imparare molto osservando altre culture. Non si parla solo di Napoli o della Sicilia, ma si tratta di raccontare una storia che possa trovare una connessione. “Per Passione, ad esempio, abbiamo avuto supporto dalla critica ma non grandi distribuzioni. Se avessimo avuto i soldi, di certo avremmo avuto maggiore successo, perché il film continua a far parlare di sé e le persone continuano a cercarlo. Molte persone poi si sentono artisti, si sentono di stare a un livello molto alto ma in realtà non sono niente. Noi siamo solo un ponte per mandare un messaggio».
Infine qualcuno gli chiede della libertà che secondo lui «va protetta e non deve essere data per scontata. Può essere influenzata dal governo, dalle ideologie, dalla religione. A volte si rischia di perdere la libertà anche per essere troppo ‘politicamente corretti’. Alcune volte è indispensabile mostrare anche ciò che non è corretto. Quando vedi una cosa libera davvero, è rarissimo. La libertà non proviene dalla tecnologia, ma dallo spirito».
«Ha qualche rimpianto?» gli chiedono; e lui: «No. Non puoi controllare tutto ciò che ti succede, ma puoi cercare di fare al meglio i lavori disponibili e provare a reinventarti ogni volta. È quello che ho provato a fare ed è il patto con il circo dello spettacolo».

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