Tutti parlano di Adolescence

Di “ADOLESCENCE”, serie tv già cult anche se riservata alla nicchia di audience Netflix, si è parlato e straparlato. Quasi tutti i giornali hanno messo in pista i loro migliori cavalli per spiegarci le pieghe recondite di questa storia inquietante di padri e figli (mettiamola così). Ed ognuno di loro sostiene che no, gli “altri” non hanno capito niente di incel, codici e pillole rosse e che se volete la spiegazione “vera”, profonda, psicologicamente e sociologicamente risolutiva di questo dramma dovete buttare via tutto e leggere il loro articolo.
Al contrario, non ho questa pretesa. Comincerò col dire che è del tutto meritato il successo di questa serie. Anzi, confortante. Perché significa che qualcuno (gli autori, e in particolare Stephen Graham, coautore e protagonista) è ancora capace di concepire e realizzare un’ opera di tale intensità, e che il pubblico è capace, a sua volta, di recepirne il messaggio angoscioso che propone.
Fatto di domande a larghissimo raggio sul momento storico che stiamo vivendo noi e i nostri figli, e su come sia praticamente impossibile affrontarlo con adeguata efficacia senza essere sopraffatti dai sensi di colpa. Perché Jamie Miller, tredicenne figlio di Eddie, brav’uomo working class, uccide freddamente e con premeditazione la compagna di scuola che lo tiene alla larga in modo un po’ sprezzante?
Una domanda che sembra collocare i quattro episodi che compongono la serie inglese in un mondo estraneo agli schemi mentali delle generazioni precedenti, compresi i genitori di Jamie e anche i detective che lo hanno arrestato. Ma che il pubblico al di qua del video percepisce, sia pure in modo confuso, come concreta e terribilmente attuale.
Il mondo dei figli, galassia perduta tra cellulari, codici comunicativi incomprensibili dai “grandi”e, di conseguenza, denso di pensieri angoscianti quanto imperscrutabili, è rappresentato con spietata crudezza, senza proporre strade al momento percorribili per una sua migliore comprensione.Il dialogo allucinante, in carcere, tra il ragazzo e la psicologa incaricata di indagarne la mente è a tal proposito indicativo.
La vera risposta alla domanda “perché Jamie uccide” o almeno la più corretta dovrebbe essere: non lo so.
Il che non vuole dire che non sia necessario approfondire, scavare, indagare, sviscerare motivazioni e aspetti al momento oscuri di quello che indubbiamente è un segnale d’allarme involutivo che la società in cui viviamo ci invia.
Ma occorreranno menti davvero illuminate e libere, per mettere a fuoco un problema ormai ufficialmente esteso alla massa misteriosa e impenetrabile costituita dai millennials.
Un problema che coinvolge dinamiche genitoriali, sessuali, anche morali tout court. La conflittualità ormai permanente tra i sessi sta deflagrando in una vera guerra, con morti e feriti in aumento su tutta la linea. E a tutt’ oggi non sembra apparire nessuna luce in fondo al tunnel.
L’ unica cosa che mi sento di dire sul tema, a scopo costruttivo, è che evidentemente le strade finora intraprese non hanno funzionato. E che la via del dialogo, tra genitori e figli o tra generi diversi, porta sempre migliori risultati del conflitto aperto. Anche se è la più difficile e faticosa.
Un’ ultima considerazione, forse banale, forse anche frivola: chi sono i maestri della cultura popolare del terzo millennio? Qual è il loro peso nella formazione a tutto tondo degli adolescenti? In che misura hanno contribuito alla formazione dei loro “colleghi” della seconda metà del novecento gente come Bob Dylan, Jack Kerouac, in Italia Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Leonardo Sciascia e perché no, cantautori come De André o Guccini? Per citarne solo alcuni. Un elemento che vale la pena tenere in conto.

 

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