Un viaggio in macchina per le strade impervie dell’ex Jugoslavia, tra mare e scogli, stabilimenti abbandonati, accampamenti di zigani che cantano e ballano, e un ragazzo che corre tra i cavalli inseguendo il loro galoppo sfrenato. Vincent è un adolescente disturbato, che si comporta come un bambino di pochi anni: capriccioso, spesso irascibile, ma curioso e affettuoso come un cucciolo. A crescerlo con immense difficoltà e tanto amore una madre e un padre adottivo. Poi c’è Willi, un cantante da strapazzo che gira per locali e balere di quart’ordine, soprannominato, per la voce e il trucco di scena, il “Modugno della Croazia”.
Dopo anni di sperimentazione, Gabriele Salvatores torna finalmente alle origini con un film che riecheggia la sua trilogia di successo (Marrakech Express, Tourné, Mediterraneo), e che ritrova i suoi attori cult, a cominciare da Diego Abatantuono (il padre adottivo). Buffo e scanzonato, dolente e malinconico “Tutto il mio folle amore“, che prende il titolo da un verso di “Cosa sono le nuvole” di Modugno, si ispira a una storia vera, raccontata da Fulvio Ervas nel romanzo “Se ti abbraccio non aver paura“. Tra peripezie infinite e situazioni paradossali, le vite dei tre adulti e del ragazzo si compongono e ricompongono in un puzzle di incomprensioni e di affetti insospettati, da cui forse alla fine tutti traggono beneficio, a cominciare da Vincent. Interpretato da un giovanissimo attore esordiente, Giulio Pranno, che riesce a rendere con intensità e senza scadere nella parodia, la complessità di un ragazzo afflitto da un grave disturbo della personalità. Valeria Golino è perfetta nel ruolo di madre chioccia, fragile e al tempo stesso ostinata e caparbia come quello strano figlio che le è toccato in sorte. Abatantuono, il padre adottivo, appare l’unico “normale” in questo quartetto di gente un po’ svitata e fuori dagli schemi, pragmatico – la felicità non è un diritto, è un colpo di fortuna – dice alla moglie con la sua bonaria cadenza meneghina.
Intrisa di malinconia la colonna sonora, a cominciare da Vincent di Don MacLean (1971) per finire con “Nel blu, dipinto di blu” e “Tu sì na’ cosa grande” di Modugno.
Dopo anni di sperimentazione, Gabriele Salvatores torna finalmente alle origini con un film che riecheggia la sua trilogia di successo (Marrakech Express, Tourné, Mediterraneo), e che ritrova i suoi attori cult, a cominciare da Diego Abatantuono (il padre adottivo). Buffo e scanzonato, dolente e malinconico “Tutto il mio folle amore“, che prende il titolo da un verso di “Cosa sono le nuvole” di Modugno, si ispira a una storia vera, raccontata da Fulvio Ervas nel romanzo “Se ti abbraccio non aver paura“. Tra peripezie infinite e situazioni paradossali, le vite dei tre adulti e del ragazzo si compongono e ricompongono in un puzzle di incomprensioni e di affetti insospettati, da cui forse alla fine tutti traggono beneficio, a cominciare da Vincent. Interpretato da un giovanissimo attore esordiente, Giulio Pranno, che riesce a rendere con intensità e senza scadere nella parodia, la complessità di un ragazzo afflitto da un grave disturbo della personalità. Valeria Golino è perfetta nel ruolo di madre chioccia, fragile e al tempo stesso ostinata e caparbia come quello strano figlio che le è toccato in sorte. Abatantuono, il padre adottivo, appare l’unico “normale” in questo quartetto di gente un po’ svitata e fuori dagli schemi, pragmatico – la felicità non è un diritto, è un colpo di fortuna – dice alla moglie con la sua bonaria cadenza meneghina.
Intrisa di malinconia la colonna sonora, a cominciare da Vincent di Don MacLean (1971) per finire con “Nel blu, dipinto di blu” e “Tu sì na’ cosa grande” di Modugno.
Tutto il mio folle amore – di Gabriele Salvatores – Italia 2019