Nulla vi è, nulla nel cielo o nella natura o nello spirito o ovunque sia, che non contenga tanto l’immediatezza quanto la mediazione*. Addio, stronzo.
Il biglietto è sopra il tuo regalo di Natale, ancora impacchettato nonostante sia l’8 di gennaio. Sei tornata mentre sono al lavoro e, prima di disfare le valige, ti sei accorta che ancora non l’ho aperto. Perciò hai scritto il biglietto e te ne sei andata. Nel pacchetto ci sono i cd degli ultimi quartetti di Beethoven e un altro biglietto: Amore mio, mentre sarò via, ascoltali e per ogni quartetto scrivi una ragione apparente e una profonda per cui mi ami.
Mi è sembrato appropriato iniziare dall’opera 133: la Grande fuga. Il si bemolle imprigiona la melodia in un’armatura, la strazia per un tempo che sembra infinito, finché riesce a liberarsi respirando più agevolmente. La grande fuga è la mia. Dal pantano delle ragioni apparenti e profonde. Immobile, con la matita in mano, mi vengono alla mente soltanto le apparenti: gli occhi grandi, il naso all’insù, le labbra carnose, le fossette sopra i glutei, le cosce tornite. Le ragioni profonde non le trovo: sono state mediate dalla vita, dalla cura dei gesti più che delle parole. Dal tempo che dapprima vorticava ingiuriosamente attorno a noi e ora si è fermato, scoprendo un sentiero facile, dove i si bemolle si riposano e noi pure riposiamo, non avendo più apparenze da cercare. Restano i post it sul frigorifero: è finito lo zucchero, la carta igienica; oggi è il compleanno di tua madre; chiamare il commercialista e l’idraulico. Restano le tue chiavi di casa sul tavolo e, finita la Grande fuga, il silenzio interrotto dal do maggiore del citofono.
«Ci ho ripensato», mi dici «io resto. Semmai te ne vai tu. Beninteso io non ti caccio, però se rimani, lavi i piatti.»
*Citazione dalla “scienza della logica” di Hegel