Un altro ferragosto

Ventotto anni passano in fretta per chi non li conta: il passato è lì, inamovibile eppure confuso – a parte dettagli da cui non si può prescindere. La morte, ad esempio, o la memoria che fa acqua da tutte le parti. L’acqua limpida che bagna l’isola di Ventotene, luogo di villeggiatura ieri e oggi, carcere di confino avantieri, quando nel ’41, gli antifascisti Spinelli, Colorni, Pertini scrissero l’omonimo Manifesto. Solo di questo episodio ha vivida memoria Sandro Molino, ormai in fin di vita, che riscrive i suoi ricordi con il nipote undicenne Tito, ferratissimo anche lui sull’argomento.
Paolo Virzì insieme a Francesco Bruni tornano quasi trent’anni dopo nell’isola pontina e si trascinano dietro tutti o quasi i protagonisti di quel film fortunato che fu “Ferie d’agosto”. Sandro Molino (Silvio Orlando), appunto, con la moglie Cecilia (Laura Morante), i figli Martina e Altiero, amiche e amici un po’ smandrappati (Gigio Alberti) e la matura coppia gay Betta-Graziella.
Li ospita nella sua casa di vacanza un affezionato conoscente dei tempi che furono, il cinefilo Mauro. A stretto gomito sono casualmente presenti gli stessi protagonisti di quell’altra estate: burini allora, all’indomani della prima vittoria elettorale di B., ancora più burini ora, dopo quella infinita esperienza e gli accadimenti da poco trascorsi.
Se gli uni si definiscono di sinistra – abbigliamento casual e sandali francescani – gli altri mostrano orgogliosi tatuaggi nostalgici i maschi e tacco dodici in spiaggia, le femmine. La famiglia tamarra dei Mazzalupi ha una perla tra i suoi pittoreschi componenti, Sabrina detta Sabbry che, nonostante l’aspetto poco attraente è una famosa “Influencer”.
La star de’ noantri ha deciso di celebrare le sue nozze con il super buzzurro Cesare (Vinicio Marchioni), proprio lì nell’isola che la vide ragazzina. Al seguito madre fuori di testa, zia sciantosa (Sabrina Ferilli) con il neo fidanzato mollaccione (Christian De Sica).
I due gruppi si guardano in cagnesco, nessuna tregua alle viste, l’invadenza chiassosa e pacchiana degli uni si scontra con l’esistenza quasi austera degli altri. La nostalgia è bandita dal nuovo film di Virzì, c’è rabbia, forse, per tutto quello che la sinistra d’antan poteva fare e non ha fatto – sempre disunita e pronta a piangersi addosso, destinata a percorsi accidentati, anche nella gestione di mariti, mogli, figli, amanti.
Tutto è irrisolto nell’opera del regista livornese e nonostante la bravura di tutti gli interpreti, il senso di smarrimento e di inutilità resta dentro e fuori la sala. E forse è questo il vero significato del film. Toccante la dedica finale a coloro che ci hanno davvero lasciati: Ennio Fantastichini e Piero Natoli

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